Israele, le tante facce dell’ebraismo

5c6d853387Giorgio Bernardelli

Sono balzati all'attenzione dei giornali - qualche settimana fa - per le minacce alla bambina di Beit Shemesh che «osava» non vestire con il gonnellone e le maniche lunghe delle donne haredim. Ma è davvero solo questo oggi il volto degli ebrei religiosi in Israele? E quanto contano davvero nell'eterno braccio di ferro con l'Israele laico?
 
È il viaggio che propone nel suo nuovo numero il bimestrale Terrasanta, la rivista legata ai francescani della Custodia di Gerusalemme. «Oltre Meah Shearim» si intitola un dossier di sedici pagine che si propone di aiutare il lettore ad andare oltre gli stereotipi sull'ebraismo religioso, per provare a coglierne la sua vitalità in Israele e il rapporto con le esperienze più quotidiane nella vita delle persone.

Preziosa, in particolare, è la mappa che la rivista propone per orientarsi tra i diversi volti degli ebrei religiosi oggi nella terra di Gesù. Intanto quanti sono? Un ordine di grandezza abbastanza attendibile è quello che li identifica come circa un terzo della società israeliana. Bisogna però intendersi bene anche rispetto a questa proporzione: non vuole automaticamente dire che tutti gli altri sono hilonim, cioè laici. Nel mezzo c'è infatti il vasto gruppo di coloro che si sentono ebrei per tradizione (masorti in ebraico) ma non per questo seguono tutti i precetti dell'ebraismo. Ed è uno spettro che ha sfumature tra loro molto diverse: c'è chi accende le candele all'arrivo dello shabbat ma non si reca in sinagoga, chi mangia comunque cibo kosher, chi celebra solo il seder - la cena rituale - nella Pasqua ebraica (ben l'85 per cento degli ebrei israeliani dichiara di farlo) o chi guarda al proprio ebraismo solo come ad una serie di gesti che preservano un'identità.

Anche tra i religiosi propriamente detti, però, si distinguono gruppi tra loro molto diversi. E se anche è vero che in Israele le comunità riformate e conservative (maggioritarie negli Stati Uniti) sono una presenza molto marginale rispetto all'ebraismo ortodosso, ugualmente il pluralismo nei modi di vivere la fede è il tratto caratterizzante. Ad esempio i famosi haredim - letteralmente i «timorati di Dio», gli ultra-ortodossi che con i loro cappelli a larghe tese e i soprabiti neri compaiono in tutte le fotografie - sono solo uno di questi gruppi: complessivamente rappresentano circa il 10 per cento della popolazione di Israele e al loro interno, dal punto di vista dell'impostazione spirituale, sono tuttora divisi tra gli storici gruppi degli hassidim e dei lituani, le correnti che si scontravano già nell'Europa Orientale prima dell'immigrazione in Israele. Il loro rapporto con lo Stato di Israele in realtà è abbastanza complesso: inizialmente non erano affatto sionisti, perché diffidavano dall'idea di una legge altra rispetto alla Torah. Poi la storia degli ultimi settant'anni li ha portati a scendere a patti con lo Stato ebraico, ma il conflitto resta comunque irrisolto.

Da questa prima grande corrente se ne è andata progressivamente staccando una seconda, quella dei cosiddetti hardalim cioè gli haredim nazionalisti. Sta a indicare un gruppo che è rimasto sì legato a un'osservanza molto stretta dell'ortodossia più tradizionale, ma a differenza degli altri haredim l'ha declinata nel segno di un sionismo di matrice religiosa. Da entrambi i gruppi, infine, si distingue quello che si definisce l'universo dei dati leuminazionalisti religiosi»), che è sostanzialmente di impostazione modern orthodox: sono gli ebrei osservanti dei precetti della tradizione ebraica, che ambiscono però a vivere la propria religiosità dentro l'orizzonte della modernità e non in un ambiente separato. Per loro lo studio non è solo studio della Torah, ma è aperto anche alle altre discipline del sapere. La propria professione o il modo di vestire è uguale a quello di qualsiasi israeliano non religioso (eccetto il fatto che indossano la kippah). Alle ragazze sono offerte le stesse opportunità d'istruzione.

È soprattutto quest'ultimo gruppo - molto più folto rispetto a quanto le cronache dalla Terra Santa solitamente raccontino - che il dossier di Terrasanta aiuta a incontrare. Recandosi in sinagoga con loro al tramonto del venerdì; chiedendo a una giovane guida turistica (nonché aspirante rabbino) di raccontare quale sia il suo rapporto con l'Eretz, la Terra di Israele; incontrando nel salotto di casa una coppia di hozrim bitshuva, cioè quegli ebrei cresciuti in un ambiente laico che hanno scelto di riavvicinarsi alla fede. Ed è con loro che si affronta anche il tema del significato delle mizvot, i 613 precetti che l'ebreo osservante deve adempiere per camminare sulla via indicata dalla Torah.

Il dossier ospita infine un'intervista ad Hana Bendkowsky, ebrea di Gerusalemme da anni attiva nel dialogo con tante realtà cristiane. Proprio a lei nell'ottobre 2010 la Santa Sede affidò il compito di raccontare agli israeliani il Sinodo per il Medio Oriente su un'apposita sezione in ebraico aperta sul sito della Radio Vaticana. Molto chiara la sua risposta alla domanda sui pregiudizi più diffusi tra i cristiani nei confronti degli ebrei: «Non ci conoscete - spiega -. In Israele cercate ancora gli ebrei dell'epoca del secondo tempio, quelli di duemila anni fa. Non capite la relazione che esiste tra la religione e i precetti. Credo, però, che lo stesso discorso valga, a parti invertite, anche per tanti ebrei nei confronti dei cristiani».

© http://vaticaninsider.lastampa.it - 7 aprile 2012