Sorella Maria, eremita di confine

maria-di-campelloÈ giustamente molto conosciuta l’esperienza ecumenica della comunità di Taizé, ma pochi sanno che l’idea di una comunità di tipo monastico dove vivessero insieme persone appartenenti a confessioni cristiane diverse è stata sperimentata per la prima volta a Campello, vicino a Trevi in Umbria, da una donna, Maria di Campello. Se oggi la sua personalità è nota grazie all’opera di alcuni biografi, una luce più approfondita sulla sua vicenda personale e sull’orma che ha lasciato nella tradizione della Chiesa viene ora dai saggi raccolti da Roberto Morozzo della Rocca (Maria di Campello. Un’amicizia francescana, Brescia, Morcelliana, pagine 160, euro 15).

“Sorella Maria”, al secolo Valeria Pignetti, dopo avere abbandonato una vita religiosa tradizionale in un convento francescano, intorno al 1926 andò a vivere in un antico eremo abbandonato, nonostante tutti glielo avessero sconsigliato, sia per l’asperità e l’estrema povertà del luogo, sia per la compagnia di sorelle anglicane. Invece di fondare una congregazione nuova, Maria lega le sorti di questo gruppo di donne a quel luogo così segnato dalla memoria del primo francescanesimo. Lì sorella Maria resiste, nel silenzio e nel nascondimento, a tutte le pressioni di chi la voleva irreggimentare in una formula religiosa stabilita o definirla modernista, per segnare un percorso di vita eremitica originale, libero e umile.

Il carattere della singolare eremita viene colto soprattutto attraverso le sue relazioni, le sue amicizie, costruite con attenzione e amore nel tempo, che definiscono lo spazio umano in cui si muove il suo pensiero e la sua preghiera. «Considero l’amicizia una delle più grandi forze del mondo» scrive, e questo spiega la tenacia con cui tesse e alimenta amicizie importanti come quella con Albert Schweitzer, Gandhi, Buonaiuti, Mazzolari. Maria è capace di creare legami con personaggi di confine, e questo vale specie con i protestanti. Il suo ecumenismo però si realizza soprattutto nella concretezza della vita quotidiana dell’Eremo, dove convivono e pregano in comune donne di diverse confessioni cristiane.

 I rapporti con l’autorità ecclesiastica, spiega Morozzo della Rocca, sono difficili, e Maria non vedrà la piena riabilitazione dell’Eremo, avvenuta solo dopo la sua morte, nel 1969, a opera dell’arcivescovo di Spoleto Ugo Poletti. Ma contrasti e incomprensioni hanno la funzione, come avviene sempre nelle storie dei santi, di confermare la vocazione mistica di un’eremita che sapeva rispettare la Chiesa pur mantenendo un respiro ampio, di apertura universale.

Maria è fedele alla Chiesa, come afferma apertamente in una lettera del 1945: «Siate certi che se io muoio, muoio di passione per la chiesa». È la stessa affermazione di Caterina: le donne si rivelano più capaci degli uomini a continuare ad amare appassionatamente la Chiesa anche quando ne vedono e ne denunciano con totale lucidità limiti e difetti.

  Lucetta Scaraffia

© www.osservatoreromano.va - 30 agosto 2013