Prima che sia troppo tardi

unhcrdi NICOLA GORI 

Fermarsi prima che sia troppo tardi. Perché rispondere alla violenza con la violenza in Siria significherebbe innescare una drammatica spirale che avrebbe "irreparabili sviluppi" per tutta la regione. Ma anche perché i primi a subirne le conseguenze sarebbero i cristiani d'Oriente, che "soffrono con tutto il popolo di quella nazione" e non vogliono essere considerati "stranieri". È il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, in questa intervista al nostro giornale, a raccogliere le preoccupazioni di Papa Francesco e a sostenere il suo forte appello per la pace in Siria.

All'Angelus di domenica Papa Francesco ha lanciato un appello per la pace in Siria dai toni particolarmente forti e angosciati. Siamo veramente a un punto di svolta nell'evoluzione della già drammatica situazione nel Paese?

Si può fare finta di niente. Ma non si può non vedere e non ascoltare la sofferenza e il grido di chi geme per la violenza e per la guerra. L'accorato appello del Santo Padre all'Angelus di domenica scorsa è venuto dal cuore di un padre preoccupato per le sorti dell'intera umanità. Di fronte alla corsa alle armi, che ha ulteriormente inasprito l'estenuante conflitto, e alla concreta possibilità di un ulteriore intervento armato entro il confine siriano, il Papa ha sentito tutta l'urgenza di chiedere che ci si fermi, prima che sia troppo tardi. È prevedibile, infatti, la malaugurata conseguenza di un coinvolgimento di altri Paesi nel conflitto con irreparabili sviluppi. Per questo egli si è rivolto indistintamente a tutti: a chi ha le armi, cominciando da quelle di distruzione di massa, e a chi le fornisce! A tutti ha chiesto di fermarsi. Ha benedetto le mani di coloro che si impegnano per l'assistenza umanitaria e ha espresso il desiderio che a essi si aggiungano molti altri e sia possibile, più che la guerra, la solidarietà di tanti volontari pronti ad alleviare le sofferenze che colpiscono soprattutto i deboli. A quelli che possono decidere le sorti dell'umanità ha chiesto di agire attraverso il negoziato e la diplomazia e non con le armi. Come ebbe a dire il beato Pontefice Giovanni Paolo II, l'8 ottobre 2000, consacrando l'umanità alla Madonna nel grande giubileo del 2000: "L'umanità possiede oggi strumenti d'inaudita potenza: può fare di questo mondo un giardino o ridurlo a un ammasso di macerie". In realtà le devastazioni vanno avanti senza sosta da più di due anni in Siria e sembra che non si voglia comprendere ciò che è drammaticamente evidente, cioè che di questo passo si può solo precipitare in un baratro. Anche su questo giungerà il giudizio di Dio e della storia.

Il Pontefice ancora una volta ha indicato la via del dialogo e del negoziato per risolvere la situazione in Siria. È ancora possibile comporre le posizioni delle diverse parti in causa e conciliare le esigenze di sicurezza e di stabilità dell'intera regione mediorientale?

Le parole del Papa sono ben lungi dal vago invito moralistico. Sono già un passo concreto indicato ai responsabili. Egli ha ben specificato che quanto stava per dire nasceva "dal suo intimo", aggiungendo queste parole: "Chiedo alle parti in conflitto di ascoltare la voce della propria coscienza". Papa Francesco nel silenzio e nella preghiera si è messo in ascolto del proprio cuore, rattristato da tanto dolore. E ha voluto riportare alla voce insopprimibile della coscienza i combattenti, i potenti e l'umanità intera, dicendo: fermatevi in ascolto del cuore e non dell'interesse di una fazione, di un partito, di una alleanza politica, militare o economica. Ascoltare, dunque, per agire! Solo così è possibile "guardare all'altro come ad un fratello". Questa è la strada maestra, questa è l'autentica primavera umana, e perciò realmente anche araba per la Siria, l'Egitto e l'Iraq. Il Medio Oriente è attraversato dalla diversità: popoli ed etnie, religioni e culture (sunniti e sciiti, cristiani di diverse confessioni). E all'interno di questi grandi gruppi vi sono ulteriori suddivisioni. Ma il Medio Oriente è stato per millenni e può ancora essere il luogo ove la diversità impara nel quotidiano a convivere e a costruire l'unità. Però, va incrementata la logica del reciproco rispetto e della testimonianza. In questa prospettiva la stessa presenza degli orientali cattolici vorrebbe essere testimonianza vivente di come la diversità non ostacoli, bensì esalti armonicamente l'unità.

Perché la logica della violenza e della ritorsione non può essere la strada per risolvere la crisi siriana?

La logica della violenza e della ritorsione non è mai una strada da percorrere, perché induce ad una catena di accuse e vendette, che non tengono conto del sangue versato ed aumentano il rancore e l'odio, infrangendo a volte gli stessi vincoli familiari e comunitari. Così facendo la Siria si trasformerà sempre più in un inferno sulla terra. Laddove sono stati compiuti dei crimini, vanno sostenute le istituzioni e i tribunali internazionali chiamati a verificare e a giudicare in modo imparziale la violazione dei diritti della persona umana e dei crimini contro l'umanità.

Nel conflitto siriano i cristiani stanno soffrendo più delle altre realtà perché sono la componente più debole della società. Come aiutarli?

Il libro dell'Apocalisse ci parla dei cristiani come i redenti, coloro che hanno attraversato la "grande tribolazione" e "seguono da vicino l'Agnello, ovunque egli vada". Sentiamo l'attualità di questa parola pensando ai nostri fratelli d'Oriente, così vicini all'Agnello, al Signore Gesù, che nella liturgia, con consapevolezza profonda, celebrano come unico Redentore e al quale cantano la fede con la propria vita. Si pensi a pastori e fedeli uccisi per il fatto di essere cristiani e a quei vescovi e sacerdoti rapiti o spariti nel nulla. Non posso non ricordare i due presuli ortodossi, i due preti cattolici rapiti da mesi e infine padre Dall'Oglio. Anche per questo, secondo l'espressione del Vaticano II, i cristiani d'Oriente sono "i testimoni viventi delle origini" oggi più che mai, perché ci dicono con la vita Chi è la sorgente della speranza per l'uomo. È il Crocifisso, che ha versato il sangue per la pace universale. Proprio perché vogliono continuare ad essere cittadini dell'amata Siria, essi soffrono con tutto il popolo di quella nazione. Ma non vogliono essere considerati stranieri i discepoli di Gesù, che fin dalle origini del cristianesimo vivono in quelle terre condividendone pienamente le gioie e le sofferenze. Vanno sostenuti con la nostra preghiera e aiutati a rimanere amanti della verità e della giustizia. Si può e si deve far di tutto affinché sia possibile l'opera di carità di tanti volontari, cristiani e non, a favore delle famiglie e dei piccoli innocenti e indifesi. Troppo poco si è fatto per garantire corridoi umanitari e qui le responsabilità sono di tutte le parti in conflitto.

I cristiani orientali della diaspora come possono far sentire la loro voce all'opinione pubblica internazionale per favorire il processo di pace?

Per l'amore e l'attaccamento alle proprie radici possono confermare e incrementare l'ammirevole sostegno di cui hanno già dato prova. Li immagino in queste ore tra i primi ad attivarsi nelle diverse nazioni a diffondere le parole del Santo Padre, spendendosi per la maggiore adesione possibile alla giornata di preghiera e di digiuno di sabato prossimo. Ho tanta speranza soprattutto nei giovani, forse più disponibili a mobilitarsi, per amore della giustizia e della pace: anche in questa occasione essi sapranno "fare rumore", come ha più volte chiesto loro il Papa a Rio nella Giornata Mondiale della Gioventù. Affido senz'altro ai giovani questa mobilitazione per la pace. Sappiano svegliare specialmente gli orientali, quelli che nel mondo ricoprono incarichi di responsabilità e quanti hanno immense possibilità, affinché si uniscano ai più umili, e soprattutto a Papa Francesco, perché sia ascoltato il "grido della pace".



(©L'Osservatore Romano 4 settembre 2013)