Pellegrini col carretto

ebraico-cristianaLa tradizionale Cronaca di Antiochia, preparata scrupolosamente per diciassette anni dal cappuccino padre Domenico Bertogli, parroco della piccola comunità cattolica locale, contiene quest’anno due novità: la prima è che, probabilmente, non la leggeremo più; la seconda è che la crisi mondiale ha costretto i pellegrini diretti ad Antiochia a muoversi a piedi, spingendo il vecchio carretto di famiglia, rispolverato per l’o ccasione. Tra i tanti visitatori, infatti, quelli che arrivano a piedi in Antiochia crescono di anno in anno, non solo per spirito penitenziale, ma perché costretti dalle poche risorse economiche. Per i bagagli ci si arrangia con il carretto a due ruote, ritrovato tra i vecchi mezzi di locomozione dei contadini. È quanto hanno fatto Béatrice e Christiane, due ragazze francesi, più attente alla fede che al look parigino; un religioso della stessa nazione, Nicolas-Marie, e un sacerdote austriaco, Johannes Maria Schwarz, tutti diretti a Gerusalemme, ma irresistibilmente attratti non tanto dalla città — quella dell’età apostolica non c’è più — bensì dal nome di Antiochia, magico come un sogno. Gli antiocheni ormai lo sanno e guardano con simpatia questi singolari pellegrini che altrove potrebbero suscitare ilarità, ma che qui possono muoversi indisturbati perché anch’essi sono a casa loro. Altra novità contenuta nella C ro -nacaè il pranzo che per la prima volta la missione cattolica ha preparato nel cortile, ridente di zagare profumate, per le autorità religiose e politiche. Non è mancato nessuno, perché tutti vi hanno trovato un proprio riferimento: i musulmani nella moschea che copre la missione con l’ombra del minareto; gli ebrei nella sinagoga, antica e severa, a pochi passi; gli ortodossi nella chiesa che avvolge con il suono delle campane. Molte pagine della C ro n a c a parlano del restauro della Grotta di San Pietro, unica reliquia cristiana dell’antica Antiochia e nella quale abita l’ecumenismo perché ortodossi e cattolici vi celebrano insieme la Pasqua e il Natale con una liturgia semplice, coinvolgente e che commuove quanti vi assistono. «Dopo Gerusalemme e gli altri luoghi santi — ha scritto a padre Bertogli un pellegrino francese — Antiochia è la città che mi ha rapito il cuore. Il ricordo di Barnaba e di Paolo; la Grotta di San Pietro e quell’annotazione degli Atti degli apostoli[«Ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani», 11, 26] sono sufficienti a fare di questa città la città di tutti, perché tutti siamo almeno virtualmente cristiani». A proposito dei lavori nella Grotta, «sappiamo che sono iniziati, ma nessuno sa quando finiranno» annota laconicamente padre Domenico, rassegnato, suo malgrado, all’ormai globalizzata lentezza burocratica. Mancandogli quest’invidiabile punto di osservazione, il cappuccino si limita a guardare quanto accade nell’interno della missione, dove approda tutto il mondo e “coloro che lo abitano”. Ecco, allora, l’avvicendarsi inatteso del mondo dello sport, della politica, dell’esercito, della religione, della diplomazia, del lavoro, dell’educazione, della scuola (studenti protestanti, musulmani, cattolici, buddisti), della moda, dello spettacolo, al punto che ci si interroga su cosa cerchi questa gente che si muove in pochi metri quadrati vegliati da un campaniletto a vela che si intravede tra il verde dei limoni sempre carichi di frutti. Si spiega e si capisce il pellegrinaggio in Terra Santa, dove il Signore pare cammini davanti al pellegrino che ne segue le “orme recenti e lucenti” (recentia et lucentia vestigia, dice san Girolamo); si capisce meno il pellegrinaggio ad Antiochia, dove il Signore non ha camminato e gli apostoli non hanno lasciato particolari ricordi se non quello legato alla parola di Gesù, accompagnando il nascere e il crescere della Chiesa. Nel museo antiocheno ci sono stupendi mosaici, ma l’Europa ne è piena; a due passi dalla città c’è Dafne, un tempo ricca di templi, di acque e di allori; ma è irriconoscibile: le cascate di un tempo sono oggi tre o quattro e con un rivolo d’acqua si perde tra i sassi. Non c’è più nulla. Ci sarebbero i ruderi antichi, ma sono irraggiungibili: quelli del medioevo bizantino sono a quattro metri di profondità; quelli di Giustiniano a sette; quelli romani a nove e quelli ellenistici addirittura a undici! Che si cerca, allora? «Si cerca l’anima delle prime comunità cristiane — risponde con semplicità padre Domenico — che affiora dagli scritti neotestamentari: il Vangelo di Matteo; gli Atti degli apostoli; la Didaché. Antiochia vive della nostalgia di un profondo amore fraterno e di un’attività che, sotto il vento dello Spirito, lievitò rapidamente e spinse il Vangelo verso le terre e le capitali più antiche dell’Asia minore, della Macedonia, della Grecia, dell’Italia, nonché di quel dolce fantasticare sulle innumerevoli persone che collaborarono con Pietro e Paolo, aiutandoli a fare della piccola parrocchia palestinese la grande parrocchia mediterranea in cui siamo stati registrati anche noi. È quanto padre Domenico ha voluto ricordarci con la sua C ro n a c a ancora una volta. (egidio picucci)

© Osservatore Romano - 9 gennaio 2014