Tutelare il patrimonio religioso per garantire i diritti umani

Impegno dell'Unesco per la ricostruzione delle chiese e dei monasteri ortodossi serbi del Kosovo
di Pierluigi Natalia
Nel discorso al corpo diplomatico dell'8 gennaio, Benedetto XVI, volgendo il suo sguardo all'est dell'Europa, ha ricordato che "la Santa Sede continua il suo impegno per la stabilità della regione e spera che si continueranno a creare le condizioni per un avvenire di riconciliazione e di pace tra le popolazioni della Serbia e del Kosovo, nel rispetto delle minoranze e senza dimenticare la difesa del prezioso patrimonio artistico e culturale cristiano, che costituisce una ricchezza per tutta l'umanità". A questo proposito, nei giorni scorsi è stato raggiunto un accordo in sede Unesco per la ricostruzione delle chiese e dei monasteri ortodossi serbi del Kosovo distrutti tra il 17 e il 19 marzo 2004, dopo le violente manifestazioni antiserbe della comunità albanese. Quanto accadde cinque anni fa in Kosovo non è ovviamente l'unico esempio significativo di tale pericolo:  si pensi, per restare alla sola Europa, ai numerosi casi di rilevanti distruzioni di edifici sacri in altre regioni dei Balcani appartenenti alle tre denominazioni religiose maggioritarie o al rilievo che la questione del recupero del patrimonio religioso ha nei negoziati per la riunificazione di Cipro. Ma certo quello kosovaro del marzo 2004 - dopo i tragici eventi degli anni Novanta con i loro pesanti riflessi negativi sul patrimonio religioso sia ortodosso che cattolico che musulmano - è stato uno dei casi più gravi di questa particolare espressione di violenza registrati in epoca moderna. In meno di settantadue ore, trentacinque chiese e monasteri, molti dei quali risalenti al xiv secolo, scomparvero tra le fiamme, in quello che da molti parti fu giudicato un ennesimo episodio di pulizia etnica nella regione balcanica.
A cinque anni di distanza, la questione è stata definita di stretta attualità anche dall'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), che ha tenuto una riunione del suo Consiglio permanente proprio il 19 marzo. Nell'occasione, toni piuttosto duri sono stati usati dal rappresentante della Russia, Anvar Azimov, che riferendosi ai fatti di cinque anni fa ha parlato di un avvenimento senza precedenti in Europa nel secondo dopoguerra. Secondo Azimov, l'attacco a chiese e monasteri ha implicato e implica una volontà di estirpare dal Kosovo il popolo serbo e tutto quello che gli appartiene. Sul piano del diritto internazionale, il rappresentante russo si è detto convinto che l'esame dello status del Kosovo da parte della Corte internazionale di giustizia dell'Aia - alla quale, con un'iniziativa che ha avuto un sostegno maggioritario nell'assemblea generale delle Nazioni Unite, si è rivolta la Serbia dopo la proclamazione d'indipendenza fatta l'anno scorso dai kosovari albanesi - non può svolgersi indipendentemente da quello che è successo cinque anni fa.
Proprio l'Osce, alcuni anni fa, si è dato un nuovo strumento, l'Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani (Odihr), che all'inizio di marzo ha tenuto a Vienna il suo primo incontro incentrato sulle iniziative per affrontare l'intolleranza e la discriminazione contro i cristiani. "Da questo incontro è emerso chiaramente che l'intolleranza e la discriminazione contro i cristiani si manifestano in vari modi nell'area dell'Osce", ha affermato a conclusione dei lavori il direttore dell'Odihr, Janez Lenarcic. Tra l'altro, secondo Lenarcic, "se la negazione dei diritti può essere una questione importante laddove i cristiani rappresentano una minoranza, i cristiani possono sperimentare esclusione ed emarginazione anche dove costituiscono la maggioranza della società".
Proprio queste conclusioni dell'incontro a Vienna sono state sottolineate recentemente - nella sessione speciale che il Consiglio dell'Onu per i diritti umani ha tenuto a Ginevra sulla libertà religiosa e di credo - dall'osservatore permanente della Santa Sede, l'arcivescovo Silvano M. Tomasi. Nel suo intervento, l'arcivescovo Tomasi ha lamentato che alcuni Stati, in precedenza impegnati in un rapporto equilibrato tra Chiesa e Stato, si stiano sempre più schierando con una nuova politica secolarista che mira a ridurre il ruolo della religione nella vita pubblica. In proposito, l'arcivescovo Tomasi ha sottolineato come andrebbe sempre ricordato che il diritto alla libertà religiosa è intrinsecamente legato al diritto alla libertà di espressione.
A Vienna i partecipanti all'incontro organizzato dell'Odihr avevano discusso vari aspetti relativi all'intolleranza e alla discriminazione contro i cristiani, tra cui attacchi violenti contro persone, proprietà e luoghi di culto, così come restrizioni al diritto alla libertà di religione o di credo. Allo stesso modo, diversi interventi avevano sottolineato i ritratti inadeguati dell'identità e dei valori cristiani da parte dei media e nella politica, che portano a fraintendimenti e pregiudizi, e avevano ricordato la necessità del dialogo interreligioso, visto che molte sfide affrontate dai cristiani sono condivise da membri di altre comunità religiose della regione dell'Osce. All'Odihr si era anche chiesto una più accurata raccolta di dati sui crimini contro i cristiani, l'adozione di leggi in linea con gli impegni internazionali di tutela delle libertà religiose e l'assistenza agli Stati e alla società civile per aumentare la consapevolezza di standard rilevanti.
È utile conoscere questo quadro, perché la questione della tutela del patrimonio artistico e religioso, oltre ad avere aspetti di carattere più propriamente politico, investe il concetto giuridico internazionale di tutela e promozione del patrimonio culturale e spirituale di ciascun popolo come componente significativa e irrinunciabile dei diritti umani. Lo strumento internazionale più conosciuto - proposto dall'Unesco per la promozione del patrimonio culturale "materiale" o "tangibile" (monumenti, chiese, e così via) - è la Convenzione del 1972 sul patrimonio di eccezionale valore per l'intera comunità internazionale, ratificata da quasi tutti gli Stati del mondo. Tutelare il patrimonio di ogni popolo - anche nella sua specifica componente religiosa - non è però un compito che riguardi solo strutture, monumenti o opere d'arte. Molti osservatori hanno avvertito, fin dagli anni Settanta, l'esigenza di affiancare alla Convenzione del 1972 un analogo dispositivo di tutela di quelle ricchezze "immateriali" che costituiscono il patrimonio, per così dire, "intangibile" dell'umanità. Dopo un lungo cammino di studi e proposte si è giunti così alla Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, adottata, dalla Conferenza generale dell'Unesco a Parigi, il 17 ottobre 2003, che però manca di un qualsiasi riferimento esplicito al patrimonio religioso, né prevede qualsivoglia iniziativa specifica e ufficiale sul patrimonio immateriale d'interesse religioso.
Ma soprattutto è delicata la questione dell'interpretazione che a livello internazionale viene data del concetto di "tutela della diversità religiosa". Molti, infatti, fanno di tale formula un ulteriore strumento per proseguire nel relativismo religioso, di modo che c'è da diffidare di una sua evoluzione a livello normativo e giurisprudenziale. Per fare invece della "diversità religiosa" una nozione utile e necessaria per sviluppare le varie dimensioni dell'identità e della libertà di religione, sarebbe auspicabile includere una tale formula nei trattati costituzionali delle organizzazioni sopranazionali.
Non è questa la sede per ritornare sulla questione della mancata citazione delle radici cristiane dell'Europa nei trattati dell'Unione europea, ma certo anche sotto questo aspetto sarebbe tempo di lasciare definitivamente alle spalle ogni interpretazione della modernità e dei processi di modernizzazione in termini di opposizione, quando non di insanabile contraddizione, con tutto ciò che concerne la sfera del sacro. Espellere la dimensione religiosa da tali trattati è non solo miope, ma culturalmente poco sostenibile. Da questo punto di vista, la Dichiarazione Unesco di Città del Messico del 1982 aveva esplicitamente chiarito come il concetto di eredità culturale includesse anche le espressioni della spiritualità dei popoli.
Già diversi anni fa, nel chiedere senza successo l'inserzione di una menzione dell'importanza dei beni culturali religiosi nel preambolo della Convenzione sulla diversità culturale, la Santa Sede aveva invitato la comunità internazionale a riconoscere come parte integrante del patrimonio culturale e artistico di tutta l'umanità i beni di interesse religioso, perché si tratta di una questione riguardante "gli aspetti oggettivi della diversità culturale".
Del resto, la Chiesa cattolica è stata sempre e ovunque promotrice di scienza e di arte. Se si esaminano i concordati, recenti e meno recenti, si vede in essi un crescente interesse per le istituzioni culturali, dalle scuole elementari fino alle facoltà teologiche e alle università cattoliche. Se è vero, come con profonda preoccupazione asseriva Paolo VI, che "la rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre" (Evangelii nuntiandi, n. 20), è però anche innegabile che da parte della Chiesa non è mai mancato un impegno serio e costruttivo, certo attento anzitutto ai bisogni più urgenti, e condizionato dai limiti dei mezzi e delle forze, ma esteso a ogni sfera del vivere, del pensare e del creare umano.
In ambito internazionale la Santa Sede è presente all'Unesco con un proprio osservatore permanente e partecipa all'attività nei tre ambiti di competenza dell'Unesco stessa:  educazione, scienza e cultura. Nell'ambito della cultura - quello più considerato in questo articolo - la Santa Sede è parte delle Convenzioni dell'Unesco per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato (1954), e per la protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale (1972).
Si dovrebbero citare pure altre organizzazioni internazionali di carattere culturale:  il Consiglio internazionale dei monumenti e dei siti (Icomos), il Consiglio internazionale dei musei (Icom), il Centro internazionale di studi per la conservazione e il restauro dei beni culturali (Iccrom), il Comitato internazionale di storia dell'arte (Ciha), il Consiglio internazionale degli archivi (Ica), la Federazione internazionale delle associazioni dei bibliotecari e delle biblioteche (Ifla). Con esse e con altre ancora la Santa Sede collabora in vari modi e con il coinvolgimento della sezione per i rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato.

(©L'Osservatore Romano - 30-31 marzo 2009)