Siria L’arcivescovo di Damas dei Maroniti sulla situazione dei cristiani in Siria. Una Quaresima che dura anni - L'Osservatore Romano

Samir Nassar(Paolo Affatato) Per il popolo siriano la Quaresima, “tempo speciale” di preghiera, digiuno e carità, è divenuto un “tempo ordinario”. Da anni la vita della gente è segnata dalla povertà, costretta a un perdurante digiuno a causa dell’indigenza, affidata alla costante preghiera, sostenuta dalla carità di persone, comunità e organizzazioni che non fanno mancare il loro pensiero e lo slancio solidale. La riflessione che l’arcivescovo di Damas dei Maroniti, Samir Nassar, condivide con «L’Osservatore Romano» all’inizio del tempo di Quaresima, non può che partire dalle tragiche condizioni in cui versa la popolazione siriana, dopo nove anni di guerra civile. La guerra si è conclusa nelle grandi città, ma rimangono piccole sacche di conflitto, innumerevoli posti di blocco militari su strade e autostrade. I rombi degli aerei e alcune esplosioni che echeggiano da lontane continuano a coesistere a Damasco con le migliaia di bossoli e residui bellici presenti negli edifici in rovina. E la vita della gente non è diventata più facile.
«Giorni, mesi, anni turbati da indicibile violenza, dalla paura, dalla distruzione del futuro: tutto questo ha generato un senso di prostrazione che toglie la speranza e che attanaglia gli animi», nota il presule, ricordando che la Siria, sconvolta dalle violenze dei gruppi jihadisti, si è ritrovata a diventare una nazione di profughi. In tempi più recenti, le sanzioni internazionali e la recente crisi delle banche libanesi hanno messo in ginocchio il paese a livello economico e sociale, in un quadro che «colpisce soprattutto le persone più fragili».
Alla prima necessaria austerità, quando le famiglie hanno dovuto rinunciare al tenore di vita che avevano prima dello scoppio della guerra, si è gradualmente sostituita la crescente povertà di mezzi di risorse, di lavoro, dunque ben presto degenerata in indigenza: «Il salario delle famiglie è diminuito, mediamente, almeno del cinquanta per cento in tre mesi. L’innalzamento dei prezzi ha finito per colpire la vita quotidiana di tutte le famiglie, in particolare modo quelle più povere e modeste. I cittadini che già vivevano in condizioni di precarietà e che speravano di rialzarsi, con la fine delle ostilità, hanno finito per sperimentare la miseria», nota l’arcivescovo. Gli effetti dell’embargo si sono rivelati devastanti soprattutto per la povera gente. «La mancanza di carburante, del gas e della corrente elettrica — rileva — crea oscurità e gelo nelle case: tale stato induce tristezza e crea problematiche anche a livello psicologico ripercuotendosi soprattutto sulle persone più fragili e vulnerabili come gli anziani e gli ammalati».
Non è bastata la sconfitta dei gruppi jihadisti e la proclamata fine della guerra a restituire la normalità alla nazione siriana: la crisi bancaria del Libano ha di fatto bloccato i conti correnti dei siriani, sia quelli dei privati cittadini, che vedono i risparmi congelati negli istituti bancari, sia quelli delle imprese. «Fra queste ultime — denuncia Samir Nassar — sono comprese anche le associazioni caritative, oggi incapaci di operare in un contesto contraddistinto da profonde ed enormi difficoltà». L’impatto è doppiamente dannoso: conseguenza della crisi economica di ong ed enti assistenziali è l’abbandono dei più poveri, che tali associazioni sostenevano: «Oggi i più poveri non riescono a far fronte alle esigenze di base e ai bisogni primari. Sono realmente abbandonati a loro stessi e al loro triste destino».
Il quadro, secondo il presule siriano, è davvero allarmante: «Le condizioni socio-economiche della popolazione si fanno ogni giorno più urgenti e drammatiche, e rischiano di aggravarsi ancora di più. E se il gioco fra le grandi potenze impedisce o blocca qualsiasi forma di compassione o di intervento, è piuttosto facile prevedere un peggioramento ulteriore della situazione». Il paradosso, tracciato dall’arcivescovo maronita, è «vivere oggi una crisi perfino peggiore, se possibile, rispetto agli anni della guerra». I fedeli, afferma, «vivono la Quaresima, con il pensiero assillante di assicurare il pane quotidiano e un po’ di cibo sulle tavole ai propri cari». «Il digiuno tante volte non è più una scelta spirituale, bensì un cappio che stringe la gola e fa sentire i violenti morsi della fame anche sui bambini», nota.
In questa situazione la Chiesa «si offre come dispensatrice di consolazione e speranza in nome del Vangelo», anche con le sue risorse limitate. La Chiesa, così, diventa un luogo «dove ciascuno viene per piangere lacrime, gridare aiuto, cercare ascolto e sostegno materiale e spirituale, senza ostentarlo e nel silenzio più assoluto». La comunità dei cattolici siriani, rimarca il presule, «vive la passione di Cristo ben prima della Settimana Santa». La fede, però, non viene meno in questi momenti che potrebbero rasentare la disperazione: «La Parola di Dio è fonte di conforto — racconta l’arcivescovo di Damas dei Maroniti — il passo del Vangelo che oggi ispira i nostri passi è quello delle Beatitudini. Il nostro è un Dio fedele e promette il suo Regno ai siriani, che confidano in Lui, che trionferà con la Pasqua». Parlare di «resurrezione», spiega l’arcivescovo di Damas dei Maroniti, fa bene soprattutto ai giovani, che «continuano a interrogarsi sulle strade da seguire per confessare il nome di Cristo e testimoniare il suo amore nella Siria devastata dalla guerra, paese che cerca a fatica di ricostruirsi un futuro di pace e prosperità». «I giovani che non sono fuggiti dal paese — nota Nassar — definiscono la loro patria “amata e martoriata”. Sono tanti quelli che, pur feriti al cuore e disillusi, continuano a vivere in Siria con la speranza di trovare una soluzione pacifica e potersi rifare una vita». Facendosi carico di queste aspirazioni, conclude il presule maronita, «la Chiesa continua a stare al loro fianco, come resta accanto a tutta la popolazione siriana, tenendo accesa la luce della fede, della speranza e della carità».
L'Osservatore Romano, 28-29 febbraio 2020.