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Dialogo tra le religioni ed ecumenismo nell'oasi felice di Antiochia

di Egidio Picucci

In Turchia gli uomini superano le donne di trecentomila unità:  una curiosità che non si legge sui quotidiani, ma nella "Cronaca" che padre Domenico Bertogli, parroco della piccola comunità cattolica di Antiochia, prepara scrupolosamente ogni anno per chi ha visitato la città, la missione e per chi non c'è mai stato. Una copia viene mandata anche al Papa. 
Ovviamente la "Cronaca" privilegia le notizie di carattere religioso, ma il cronista sa che la Chiesa è inserita in una società musulmana con la quale si è stabilita una pacifica convivenza tra i vari gruppi religiosi che va fatta conoscere anche nei più piccoli risvolti della vita quotidiana. In Antiochia sono state risolte le istanze ecumeniche che altrove sembrano insolubili.


Così, accanto alla segnalazione dei pellegrinaggi si può leggere che tredicimila turchi hanno sottoscritto l'iniziativa di un gruppo di intellettuali decisi a chiedere perdono agli armeni "per la catastrofe che si è abbattuta su di loro nel 1915"; che le autorità governative pensano "seriamente" di fare del Natale e del Kippur (festa ebraica di fine settembre) feste riconosciute per le minoranze; che il primo ministro Erdogan ha detto che "è ora di chiedersi il perché della persecuzione dei gruppi minoritari"; che un taxista musulmano si è rammaricato di non aver portato i figli alla Messa di mezzanotte a Natale alla Grotta di San Pietro affinché potessero "provare la mia stessa emozione"; che metà dei quasi duecentomila antiocheni sono aleviti (in Turchia sono oltre dieci milioni), musulmani che non velano le donne, non hanno moschee e fanno un ramadan particolare; che la media dell'età della popolazione è di 28,5 anni; che su 1.324.000 studenti presentatisi agli esami per l'ammissione all'università sono stati esclusi solo quattrocentomila. Curiosità? Non proprio:  piuttosto cornice in cui si inserisce anche la vita del piccolo gregge cattolico turco, alle prese con gli stessi problemi degli ortodossi e dei musulmani. Nel 2009 si sono avvicendati in città circa cinquecento gruppi provenienti da ogni parte del mondo:  una sorpresa se si pensa che in Antiochia, all'infuori della Grotta di San Pietro, non ci sono altre vestigia cristiane da visitare né bellezze architettoniche da ammirare. Che cos'è che attira tanti pellegrini?
Probabilmente il fatto che qui è nata la Chiesa, anche se è stata concepita a Gerusalemme e ora vive a Roma, come diceva Giovanni Paolo II. Giudeo-cristiani ellenisti della Palestina, di Cipro e di Cirene svolsero qui un impavido e splendente apostolato che fece cristiani quasi tutti gli antiocheni, chiamati qui per la prima volta cristiani, un nome che ha resistito al tempo e che si è diffuso in tutta la terra. Basta questo per dire che Antiochia, più che dei suoi abitanti, è dei pellegrini di tutto il mondo.
Pochi nomi biblici sono infatti suggestivi come Antiochia, non tanto per la quantità e la qualità dei ricordi chiusi tra le sue mura, ma per quell'aria biblica che vi si respira.
Si spiegano così alcuni episodi che padre Domenico sottolinea nella "Cronaca", come quel gruppo di coreani che, dopo la celebrazione dell'Eucaristia, è rimasto per oltre un'ora in preghiera silenziosa nella cappella della missione; l'esemplare raccoglimento di un gruppo argentino che coinvolge nella preghiera alcune studentesse turche; la partecipazione a tutte le liturgie cattoliche di un reverendo anglicano e di sua moglie. Stupende le notizie sull'ecumenismo e sul dialogo interreligioso, due problemi qui risolti così bene che non sembrano mai esistiti. Con gli ortodossi si celebra la Pasqua insieme; si collabora insieme nella Caritas; si partecipa alle liturgie degli uni e degli altri. I giovani pregano e cantano insieme nel cortile della missione cattolica; le donne ortodosse preparano i "pranzi" di quaresima per raccogliere fondi da passare alla Caritas; le feste si organizzano congiuntamente; il famoso "coro delle civiltà", che tiene concerti anche all'estero, è composto da cattolici, ortodossi, musulmani ed ebrei.
Con i musulmani la convivenza ha dell'idilliaco:  un pittore dipinge da anni le icone esposte in cappella; gruppi di giovani e di donne "esigono" una foto-ricordo con papas Domenico, anche se provengono da Konya, roccaforte dell'Islam turco; il ministro della cultura si ferma nella missione, che considera "un bene culturale"; il capo della polizia dell'Hatay chiede "se la comunità cattolica ha problemi", è disposto a risolverli. Nulla di strano, allora, se qualche seguace di Maometto partecipa alla catechesi e alla fine piega la testa sul fonte battesimale. "La conversione è opera di Dio - scrive padre Domenico - ma gettare le reti è opera nostra:  grazie al cielo esse non rimangono mai vuote".

(©L'Osservatore Romano - 4-5 gennaio 2010)