Chiesa Ortodossa, tra ricchezza e differenze

mondo-ortodosso-1Intervista al vescovo Silvano Livi che presenta una ricerca nella quale racconta l’ecumenismo visto dagli ortodossi

Raffaele Guerra
Roma

“L’Ortodossia e gli altri” (Il Cerchio, Rimini 2013) è un libro controverso, che desterà polemiche. È uno studio storico, puntuale e ricchissimo di documenti, sull’ecumenismo visto dagli ortodossi. Un’altra grande novità è che si tratta di un testo che ricostruisce in maniera obiettiva la storia della cosiddetta “Resistenza ortodossa”, cioè di diocesi e intere chiese che sono entrate in conflitto con i grandi patriarcati dopo la riforma del calendario liturgico del 1924 e l’ingresso nel World Council of Churches.

La prima parte del libro è una ricostruzione storica, la seconda, invece, presenta vari documenti in prima traduzione italiana: testi ufficiali di Pio IX, Leone XIII e dei patriarchi orientali, più il catechismo di Filarete di Mosca, “Le tesi ecclesiologiche dei resistenti ortodossi” del metropolita Cipriano di Oropos e Phili e “L’anatema contro l’ecumenismo” della Chiesa Russa Fuori Frontiera.


Abbiamo incontrato l’autore, il vescovo Silvano Livi, che è a capo della diocesi ortodossa di Luni, un esarcato italiano della Metropoli resistente greca di Oropos e Phili con sede a Pistoia, dove c’è anche una Facoltà Teologica Ortodossa.

Qual è l’intento del libro?
 Innanzitutto questo libro si colloca sulla scia degli altri miei testi pubblicati in Italia, che vogliono rendere testimonianza della mia fede. Nel 1984, infatti, feci la scelta travagliata e sofferta di convertirmi all’Ortodossia, lasciando con dolore la Chiesa Cattolica in cui ero cresciuto, avevo ricevuto la formazione teologica e in cui esercitavo il ministero sacerdotale. Ho scritto questo nuovo libro soprattutto perché nel nostro paese le chiese della Resistenza ortodossa sono spesso confuse con chiese di vescovi autonominati, parasinagoghe, circoli strampalati più simili a sette che a realtà ecclesiali.

Nel libro individua una “grande rottura” nella storia contemporanea delle Chiese Ortodosse…
Sì, si tratta di una grande frattura storica, discontinua nel tempo. Nei primi del Novecento, il mondo che gravita intorno al Patriarcato di Costantinopoli, già diviso dopo la creazione dei patriarcati locali, subisce una frattura con l’enciclica del locum tenens patriarcale Doroteo di Prusa. La grande rottura della tradizione ortodossa, però, viene con l’opera del patriarca Melezio IV (Metaxakis) e i cambiamenti al calendario liturgico su modello di quello gregoriano. In questa riforma si trovano le basi dell’attuale ecumenismo e di un dialogo interconfessionale che non è basato sull’opportunità, la chiarezza, la Verità, la continuità della Tradizione biblico-patristica. In altri termini, si tratta di dinamiche estrinseche alla stessa Chiesa Ortodossa; basti pensare al ruolo giocatovi dalla massoneria: come sappiamo ormai dai documenti storici, il patriarca Melezio IV era un alto grado massonico.

Ad ogni modo, il rapporto del Patriarcato di Costantinopoli con la massoneria è continuato nel tempo: sappiamo che il patriarca Athenagoras I era anch’egli un alto grado massonico. Stiamo quindi parlando di un “ecumenismo politico”: il presidente greco Venizelos dell’inizio del Novecento e il Patriarca Melezio IV, entrambi massoni, concepivano la politica civile e quella ecclesiastica come parallele e convergenti. Cominciò così un rapporto falsificato con il mondo latino, in cui la Chiesa Ortodossa rinunciava improvvisamente ad essere l’Unica, Santa, Cattolica ed Apostolica Chiesa del Simbolo della fede e delle encicliche patriarcali dell’Ottocento. Il dialogo fra le due Chiese nasceva male e, a mio avviso, finirà male: con un aggravamento della frattura o con un umanismo sincretistico tra le fedi religiose.


Nel libro parla anche di una grande frattura storica all’interno dell’Ortodossia russa, fondamentale per comprendere le dinamiche di oggi.

Sì, diciamo che, tra la fine degli anni Venti e i Trenta, mentre molti santi gerarchi della Chiesa russa morivano nei gulag insieme agli intellettuali e ai dissidenti del popolo, il metropolita Sergio conduceva una vita lussuosa piegando la Chiesa sotto il Partito Comunista, avviando così quella che è, in Russia, la chiesa patriarcale di oggi. Questa è la grande frattura dell’Ortodossia russa, consumatasi nell’Unione Sovietica, e di cui oggi, ripeto, vediamo la prosecuzione. Anche in Russia, ai tempi dell’URSS come oggi, politica civile e politica ecclesiastica erano e sono parallele: cos’è il Patriarcato di Cirillo se non un contraltare religioso della politica autoritaria di Putin?


Dunque possibile un altro tipo di dialogo tra le confessioni cristiane?


Il dialogo è possibile e auspicabile, ma a condizione che sia condotto veramente nel segno della Verità e non del compromesso. Credo sinceramente che oggi abbiamo bisogno di un tale dialogo. Proprio il papa Francesco I ha paragonato la Chiesa ad un campo su cui sia avvenuta una battaglia, parlando dell’umanità ferita dei nostri contemporanei nel tempo della secolarizzazione, in cui gli esseri umani si allontanano dalle chiese, tanto in Italia quanto in Grecia. Questo mondo ha bisogno di aiuto, amore, misericordia. La Chiesa, però, deve essere misericordiosa senza scendere nelle scempiaggini sentimentali che hanno un subitaneo effetto mediatico. Essa deve essere misericordiosa, ma avendo alle spalle la solidità della regola della fede e della disciplina, senza compromessi. La Fede è quella che ci viene dagli Apostoli e dai sette Concili Ecumenici, più quello presieduto da san Fozio il Grande, in cui i cinque patriarcati storici si ritrovarono uniti, grazie anche alla grande figura del papa Giovanni VIII.

Cosa pensa delle attuali dinamiche del movimento ecumenico? Penso che la Chiesa Cattolica dialoghi spesso con maggiore buona fede di molti gerarchi ortodossi. Per fare un esempio, il Patriarcato di Costantinopoli ha certamente firmato la Dichiarazione di Balamand e riconosce la validità del battesimo cattolico. Se però Costantinopoli si impegna nella conversione di un chierico, questi viene ribattezzato in Grecia, lontano dal clamore. Infatti, molti influenti ambienti ortodossi, a partire dal Monte Athos, non accetterebbero mai un chierico ortodosso che non abbia ricevuto il battesimo ortodosso. Insorgerebbero. Del resto, il Patriarcato di Costantinopoli è tollerato in Grecia solo per ragioni puramente storiche e nazionalistiche.


 Le Chiese Ortodosse “in resistenza”, contrarie all’ecumenismo attuale e ai cambiamenti nel calendario liturgico ortodosso, sono state oggetto di forti e violente persecuzioni, soprattutto in Grecia. Perché l’Ortodossia è così legata al calendario liturgico giuliano da avviare una Resistenza ecclesiastica e un grande movimento di popolo contro la sua manomissione?


In primo luogo, il calendario cosiddetto “nuovo” imposto nel 1924 da Melezio IV, dividendo i cicli pasquali da quelli fissi, crea una confusione liturgica enorme. Allo stesso tempo, il calendario giuliano, diventando un ibrido, perde una delle caratteristiche fondamentali per un qualsiasi calendario liturgico: l’armonia e la ritmicità. La questione, però, oltre che liturgica e canonica, è dogmatica: il calendario “nuovo” è per gli ortodossi il primo cedimento di ecumenismo politico all’Occidente.


Spesso i Patriarcati maggiori accusano la Resistenza Ortodossa di “non-canonicità”. Come risponde a un’affermazione del genere?


Nel libro c’è un articolo, scritto con il padre Stefano Dell’Isola, intitolato “Canonicità e cattolicità”. Esso trova il suo senso fondamentale proprio nella congiunzione dei due concetti: è canonica una Chiesa che è cattolica. Il principio di cattolicità , quindi di canonicità, non è estrinseco alla Chiesa, ovvero non è dato dalla comunione di una Chiesa con un’altra, ma è interno a ciascuna Chiesa locale. Questa è cattolica e canonica se si verificano tre condizioni: segue la regula fidei (Apostoli, Concili, Padri), segue la regula disciplinae (canoni etici e disciplinari dei Concili ecumenici), è presieduta da un vescovo che possiede la successione apostolica. Questa è la dottrina di sant’Ignazio di Antiochia, il fondatore dell’ecclesiologia. Nella Resistenza ortodossa sussistono senza dubbio le tre condizioni fondanti della Chiesa. L’accusa di non canonicità è ridicola. La Russian Orthodox Church Outside Russia, ad esempio, fu sempre ritenuta non-canonica dal Patriarcato di Mosca, eppure nel 2007 le due Chiese si sono unite come se nulla fosse. È mero opportunismo delle circostanze.


 Qual è secondo lei il livello generale della convivenza interreligiosa in Italia? Pensa che lo Stato italiano abbia una propria politica religiosa?


Dico chiaramente che lo Stato italiano non ha alcuna politica religiosa al di fuori di quella che vede gli schieramenti politici impegnati ad assicurarsi gli appoggi della CEI e della Chiesa Cattolica. Anche dopo la presentazione della proposta d’intesa allo Stato italiano, ho scritto a vari esponenti politici e di governo per sensibilizzarli sul tema della libertà religiosa. Non ho mai ottenuto un solo rigo di risposta. Eppure la nostra diocesi ortodossa è quella che ha più italiani tra ministri di culto e fedeli, in proporzione. In Italia, però, non c’è uguaglianza religiosa. Nella nostra Costituzione la Chiesa Cattolica è riconosciuta indipendente e sovrana: non è lo Stato del Vaticano ad avere riconosciuta la sovranità, ma l’istituzione religiosa. La Chiesa Cattolica sarà quindi sempre “più uguale” delle altre confessioni. Ad esempio, un divorzio emanato da un tribunale ecclesiastico della Chiesa Cattolica viene omologato, nel suo valore, da una corte d’appello italiana. Un divorzio pronunciato secondo il diritto canonico ortodosso da un tribunale ecclesiastico ortodosso di una Chiesa pur riconosciuta dallo Stato come la nostra non ha invece alcun valore civile. Ci spieghino i nostri politici se questa è uguaglianza.


Come considera la politica delle intese fra Stato e confessioni religiose? Non pensa si tratti di una peculiare anomalia italiana nel contesto europeo?

I diritti civili non assicurati in Italia sono ancora molti. Oggi si pensa a quelli di moda, liberal-chic, come ai più importanti. Se però si legge Locke, il padre del liberalismo, si vede che il diritto alla libertà e all’uguaglianza religiosa dovrebbe essere tra i primi ad essere riconosciuto. Quando i padri costituenti redassero la Costituzione pensavano alle intese come qualcosa di simmetricamente opposto a quello che sono diventate oggi. Essi, infatti, si aspettavano che una delle prime leggi da approvare fosse una legge-quadro sull’uguaglianza religiosa che sostituisse quella del 1929. Le intese, nelle loro intenzioni, dovevano ridursi a strumenti di soluzione di problemi particolari delle singole confessioni. Ad esempio, il riconoscimento dei giorni festivi doveva passare attraverso le intese, in quanto si tratta di una questione particolare di ciascuna singola confessione, non risolvibile all’interno di una legge-quadro. Le intese si sarebbero dovute inserire nella loro particolarità all’interno di una legge-quadro uguale per tutte le confessioni. In Italia, però, manca tutt’ora una legge-quadro e quella fascista del 1929 è quasi inesistente, in quanto è stata progressivamente falcidiata dalla Corte Costituzionale. L’intesa, quindi, supplisce alla mancanza di una legge-quadro. C’è stato un completo deragliamento.

In questa secolare continuità della Tradizione Ortodossa, che lei ha richiamato, come si colloca la libertà cristiana e le esigenze concrete, anche storiche e contingenti, degli esseri umani?


 La Chiesa Ortodossa non ha mai rinunciato alla misericordia, né alla libertà. Ad esempio, pur credendo fermamente nella indissolubilità del matrimonio, ha sempre concesso, in ragione di economia pastorale, ai coniugi divorziati le seconde nozze, sebbene a certe condizioni. La Chiesa Ortodossa ha sempre lasciato alla facoltà di discernimento dei padri spirituali di poter decidere non solo sulla base della legge e dei canoni, che devono essere al servizio della persona, ma soprattutto sulla base della libertà cristiana. È fondamentale, però, la saldezza di una regula fidei e di una regula disciplinae. Il relativismo non aiuterà alcun dialogo. La Chiesa deve fondarsi su tre pilastri: Scrittura, Concili, Padri. Su queste basi la Chiesa deve dispensare l’economia divina e la misericordia. Per andare incontro alle esigenze degli esseri umani, la Chiesa non deve fondarsi su una mentalità liberal-chic di matrice umanistico-borghese, in cui tutto è permesso, ma sul Vangelo.

Come deve porsi, a suo giudizio, l’Ortodossia nei confronti della secolarizzazione dei nostri giorni?

Deve tenere ferma come certezza la verità della fede, proprio perché proveniente da una Rivelazione e non dall’empiria. Questa verità è sempre più necessaria nel mondo secolarizzato. Oggi la scienza promette la liberazione dall’angoscia e dalla morte, un paradiso terrestre, in un certo senso sostituendosi alle promesse che in passato appartenevano alla religione. La scienza, però, non è più quella della verità incontrovertibile e si basa su un metodo ipotetico e probabilistico. Il suo paradiso è dunque ipotetico e probabile, e non può che generare senso di precarietà e angoscia. Lo stesso vale per la filosofia: l’idea di un pensiero debole è sempre trionfante. In un tale contesto, solo la vera e incontrovertibile fede cristiana può liberare l’essere umano dall’angoscia assoluta che si prospetta. Eppure, in Occidente vedo affermarsi teologie che hanno rinunciato alla certezza e all’incontrovertibilità; teologie basate su un umanesimo cristiano e non sulla verità del dogma. Esse stesse, dunque, possono diventare fonte di angoscia. L’Ortodossia rimane il baluardo della certezza e della incontrovertibilità della fede. Se essa stessa perderà questa fermezza, per l’essere umano sarà persa ogni speranza.

© http://vaticaninsider.lastampa.it - 20 ottobre 2013