La Pasqua ortodossa nella chiesa russa di Santa Caterina Martire
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- Creato: 21 Aprile 2009
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Pochi sanno che, a un fianco del Gianicolo e a due passi da piazza San Pietro, da qualche anno il Patriarcato di Mosca ha edificato una splendida chiesa, un autentico pezzo di Russia nel cuore di Roma. Il tempio ortodosso, intitolato alla martire santa Caterina d'Alessandria, sorge sul terreno di Villa Abamelek, residenza dell'ambasciatore russo in Italia che, poche settimane fa, l'ha concesso in uso permanente al Patriarcato. Dopo anni di lavori, domenica scorsa è stato possibile celebrare la divina liturgia della notte di Pasqua sull'altare maggiore, con un'apertura straordinaria della chiesa, i cui interni sono ancora in via di completamento.
Varcando la soglia della chiesa non si può fare a meno di restare ammirati dall'iconostasi di marmo bianco in cui, sotto un registro di grandi icone eseguite con tecnica raffinata, splendidi affreschi raffiguranti il Salvatore e la Vergine in trono e i santi Pietro e Paolo fanno da cornice alle porte regali, mentre nel grande catino absidale campeggia la Madre di Dio.
Correva l'anno 987 e, sebbene i turbini della storia, dall'invasione tartara alla persecuzione comunista, abbiano duramente provato questa Chiesa, nulla è cambiato nello spirito e nella sostanza. La celebrazione pasquale, iniziata prima di mezzanotte con la processione fuori della chiesa, prosegue a ritmi serrati, fin oltre le quattro del mattino, interrotta solo dall'esclamazione dei celebranti: Christos vozkrese! ("Cristo è risorto"), cui il popolo ogni volta coralmente risponde Voistina vozkrese ("veramente è risorto"), espressione che costituirà il saluto tra i fedeli fino all'Ascensione. La chiesa, compreso il nartece, è gremita di popolo, nonostante la stanchezza per la posizione in piedi per tutta la durata della celebrazione - nella Chiesa ortodossa russa non si usano i banchi - e il peso del severo digiuno quaresimale (che prevede tra l'altro l'astensione dai cibi di derivazione animale e dagli alcolici).
Tra i fedeli non ci sono solo russi, ma anche moldavi, georgiani, ucraini, romeni e qualche italiano, uniti dalla comune fede ortodossa. Questa trasversalità etnica, così tipica della Chiesa ortodossa, fa sì che gran parte dei fedeli non capisca le parole della liturgia (tutta in antico slavo ecclesiastico) e, dunque, almeno il Credo e il Padre nostro sono recitati anche in italiano, l'unica lingua più o meno comprensibile a tutta l'assemblea. Ancora lontana sembra invece l'utilizzazione del russo (come avviene per esempio nelle comunità della diaspora negli Stati Uniti), auspicata da autorevoli esponenti del clero, tra i quali l'attuale capo del Dipartimento delle relazioni estere del Patriarcato di Mosca, Hilarion Alfeyev, vicario del Patriarca Cirillo.
La liturgia giunge al suo culmine nella consacrazione dei doni, con cui l'assemblea, dopo aver ricevuto la benedizione (quasi sempre dopo una confessione immediatamente prima della comunione), si comunica sotto entrambe le specie del corpo e del sangue di Cristo. In queste occasioni, infatti, la partecipazione all'eucaristia è massiccia, fatto tutt'altro che scontato nell'ordinarietà per via della severa preparazione di digiuno, astinenza e preghiera richiesta per accedere alla comunione. Così, dopo quasi cinque ore di rara intensità liturgica, poco prima dell'alba era ancora possibile vedere per le strade della capitale - scena inusuale per i romani che rientravano dal sabato sera - fedeli ortodossi che tornavano a casa con ancora le candele accese per ringraziare il Signore di questa santa Pasqua.
(©L'Osservatore Romano - 22 aprile 2009)