Dal dolore alla speranza

aleppo porta santajpgLe porte sante si sono aperte anche e soprattutto là dove più acuta è la sofferenza dei cristiani e dove le difficoltà di convivenza tra credenti di diverse fedi assume una dimensione ben visibile. Le celebrazioni di domenica scorsa, in tanti luoghi del mondo dove appunto si sperimenta il dolore con frequenza quotidiana, si sono dunque incentrate sulla necessità urgente di misericordia. È accaduto a Gerusalemme, a Erbil, ad Aleppo e in molti altri luoghi del pianeta martoriati da conflitti, guerre, persecuzioni e povertà. Il patriarca di Gerusalemme dei Latini, monsignor Fouad Twal, aprendo la porta santa nella basilica del Getsemani, ha ricordato che «la città santa è la chiave per la pace in Medio oriente.
La nostra Chiesa del Calvario non poteva che cominciare il suo cammino giubilare dal luogo dell’agonia di Gesù. Alla sofferenza di Cristo si somma quella di questa terra, di questa regione, la misericordia abbatte i muri, l’odio, l’ignoranza, l’indifferenza, l’insensibilità e il disprezzo. Torniamo a Dio e al rispetto tra noi. Ci sono uomini, donne, bambini, innocenti che non hanno nulla a che vedere con queste guerre». La popolazione di Gerusalemme «si è preparata all’apertura della porta santa con la preghiera e poi con gesti di carità anche tra di noi. Con l’apertura delle nostre case agli stranieri, ai profughi che sono qui — ha spiegato il custode di Terra santa, padre Pierbattista Pizzaballa — non potendo accogliere i profughi che vengono dalla Siria per via della situazione politica». Padre Pizzaballa, intervistato da Radio vaticana, ha ricordato che «la Terra santa, da generazioni e generazioni, vive un conflitto che sembra interminabile, che è a sfondo politico ma anche religioso, dove le comunità continuano a rinfacciarsi l’un l’altra torti e ingiustizie. Senza il perdono, senza la misericordia — ha aggiunto — non si potrà parlare di giustizia, di cui abbiamo bisogno. E questo giubileo è l’occasione per aiutare anzitutto noi stessi, ma anche le comunità che vivono attorno a noi, a recuperare uno sguardo diverso, più libero, redento e misericordioso sull’altro» . Anche nella diocesi di Erbil, nel Kurdistan iracheno, dove si trovano i cristiani cacciati dalla Piana di Ninive dalle violenze degli estremisti islamici, è stata aperta la porta santa, nella cattedrale di San Giuseppe. «Vivere la misericordia qui sembra difficile — ha sottolineato padre Benham Benoka, sacerdote siro-cattolico di Mossul — però non è impossibile al cristiano». Infatti, ha aggiunto, «il cristianesimo in Medio oriente, non solo in Iraq ma in tutto il mondo dove ci sono cristiani perseguitati, ci dà la possibilità di vivere la grazia della croce. La nostra testimonianza, attraverso l’apertura della porta del “cristianesimo della miseric o rd i a ” a tutti — ha osservato padre Benoka — è un segnale per dire: “avvicinatevi tutti e gustate l’a m o re di Cristo”». Un’altra città dilaniata dalla guerra e particolarmente bisognosa di pace è Aleppo, dove domenica scorsa è stata aperta la porta santa nella parrocchia di San Francesco, attaccata lo scorso 25 ottobre con un lancio di granate. Padre Ibrahim Alsabagh, parroco della comunità latina di Aleppo, non ha dubbi nell’affermare che l’apertura della porta di questa chiesa rappresenta un’ap ertura sulla pace, sulla riconciliazione e sul dialogo. «Ogni giorno — ha ricordato padre Alsabagh — lanciamo messaggi di riconciliazione, di speranza non soltanto ai cristiani, di carità. Stendiamo la mano non soltanto ai nostri, ma anche alle persone che appartengono all’altra parte, a quelli più fondamentalisti, che per odio lanciano bombe cieche sulle abitazioni, sulle strade, sulle chiese, sulle moschee. Stendiamo sempre la mano — ha aggiunto — e abbiamo ogni giorno qualche messaggio che viene mandato a tutte le persone, a tutta Aleppo, ma anche a tutto il Medio oriente e a tutto il mondo».

© Osservatore Romano - 14-15 dicembre 2015