Il nuovo “Luoghi dell'Infinito”. Percorrere il Sinai tra Bibbia e carovane
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- Creato: 30 Agosto 2020
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La solitudine desertica, che riduce l’uomo all’essenzialità e lo riporta alla sua coscienza, diventa anche il simbolo dell’intimità tra Dio e il suo popolo.
«Dio ha creato le terre con i laghi e i fiumi perché l’uomo possa viverci. Ha, però, creato anche il deserto perché l’uomo possa ritrovare la propria anima». È la voce di un popolo che nel deserto ha il suo habitat. Un tempo erano famosi come predoni, ora sono carovanieri che vagano negli spazi sconfinati e assolati del Sahara coi loro cammelli e i loro prodotti di artigianato in cuoio o metallo. Sono i tuaregh, cultori di una sapienza popolare affidata al bagliore dei proverbi, come quello da noi citato. Certo, nelle distese sterminate dell’area in cui essi vivono come nomadi, i laghi e i fiumi sono quasi un miraggio. Ma talora ecco misteriosamente sbocciare un’oasi verdeggiante o aprirsi un pozzo ricco d’acqua. È con questi doni della natura che il tuaregh può vivere fisicamente dissetandosi. Ma poi, per ore e ore, è il grembo del deserto ad accoglierlo, un luogo che sembra parlare solo di morte. In realtà, come insegna l’aforisma, è in quel silenzio infinito che l’uomo ritrova la sua anima, cioè se stesso. Lasciamo, ancora, alla sapienza tuaregh la parola con un altro proverbio: «Se una madre ha nel ventre un figlio, è come una tenda quando soffia il ghibli, è come un’oasi per un assetato». Il nostro breve percorso, però, si orienta ora verso un deserto che è, sì, anche reale ma che ha molteplici risonanze simboliche, è quello che si allarga in molte pagine bibliche. Certo, nelle Sacre Scritture la terra arida è innanzitutto una realtà spaziale e geografica: c’è, ad esempio, il deserto del Sinai, dominato da un sole incandescente e da rocce plasmate dal vento; c’è il deserto stepposo di Giuda nel cui cuore si levano città evocative come Gerusalemme, Betlemme, Gerico, Hebron, Bersabea; c’è il deserto arabico da cui provenivano le carovane con merci esotiche, evocate anche nei testi sacri. Denominato con termini differenti - prevalente è l’ebraico midbar (vocabolo che curiosamente ha alla base la radice dbr, la stessa di dabar, 'parola') e il greco eremos - il deserto diventa, però, spesso un simbolo spirituale.