Compagni di viaggio

jerusalem-2di ANNA FOA

Scritto con acume e passione e intessuto fittamente di citazioni, L’eccesso. Carlo Maria Martini e l’a m o re per Gerusalemme (Bologna, Edizioni Dehoniane, 2014, pagine 108, euro 10) di Cristiana Dobner è un libretto prezioso. Vincitore del Premio internazionale Carlo Maria Martini del 2013, il testo indaga sulle radici e sui modi della centralità di Israele e della città santa nel pensiero teologico del cardinale. L’amore per Gerusalemme, la riflessione sul suo “mistero” sono posti al cuore dell’elaborazione del cardinale fin dai primi anni della sua esperienza sacerdotale, dopo la formazione nella Compagnia di Gesù. Nel 1959, in occasione del settimo anniversario della sua prima messa, Martini realizzò il primo viaggio a Gerusalemme, prima quindi del concilio e della Nostra Aetate.
Qui gli fu subito chiaro che Gerusalemme era la sua patria, prima della patria eterna, come scriverà molti anni dopo, nel 2008, dopo aver lasciato, obbligato dalla malattia, la città santa dove avrebbe voluto terminare il suo percorso di vita e nella cui terra avrebbe voluto essere sep olto. Per Martini, ci illustra Dobner, appoggiandosi alle parole stesse del cardinale e a quelle di molti suoi interpreti tanto cristiani che ebrei, il rapporto con Israele, e in particolare con Gerusalemme, è al cuore tanto del suo pensiero teologico quanto della sua prassi pastorale. Dal primo innamoramento, questo rapporto si matura nel corso degli anni attraverso una profonda riflessione sul mistero d’Israele per giungere a una radicale teologia dell’alleanza. Per Martini, Gerusalemme è la “città eccesso”, luogo di intersezione tra Dio e il mondo, luogo di eccesso di preghiera, di carità, di storia come anche, all’opp osto, luogo di eccesso di conflitto e violenza. In questo luogo di conflitto, che non è certo solo il conflitto politico ma è soprattutto conflitto interno all’essere umano nel suo incontro con Dio — e, potrebbe aggiungere un rabbino, conflitto interno a Dio nel suo incontro con l’essere umano — la posizione di chi prega è quella dell’intercessione: la stessa preghiera di Abramo di fronte a Sodoma, di Cristo a Gerusalemme. La preghiera di intercessione non è una semplice mediazione in un conflitto, ma è il porsi dentro il conflitto appoggiando le mani sulla spalla dei due contendenti, tanto di chi ha torto che di chi ha ragione, come quella chiesta da Giobbe di fronte a Dio: «Chi è dunque colui che si metterà tra il mio giudice e me? Chi poserà la sua mano sulla sua spalla e sulla mia?» ( Giobbe , 9, 33-39). Una preghiera d’intercessione che si lega strettamente, nella teologia del cardinale, al suo anelito profetico: «E sarà vicino, sarà più vicino, il ritorno del Signore», diceva nel 2005 a Milano celebrando il venticinquesimo anniversario del suo episcopato. La centralità del richiamo a Israele, al Primo Testamento (come lo chiamava) al popolo ebraico era, come dicevamo, al cuore della sua teologia ed era presente nella maggior parte dei suoi scritti, oltre a dar vita a un impegno costante, e fortemente innovatore tanto sul piano del linguaggio, un tema analizzato a fondo nel libro, che su quel lo del dialogo, come quello che a Milano ha dato vita alla Scuola della Parola e all’istituzione della Cattedra dei non credenti, ambedue esperienze importanti e molto seguite. Dal punto di vista teologico, come Dobner sottolinea, il punto di partenza di Martini è l’idea che la separazione originale del cristianesimo dall’ebraismo sia stato un UrSchisma, idea presente anche nel pensiero teologico di Hans Urs Von Balthasar e in quello di Karl Barth. L’idea di scisma comporta però quella di un risanamento, di una ricomposizione. «Il primo grande scisma — scrive Martini — privò la Chiesa dall’aiuto che le sarebbe venuto dalla tradizione ebraica». Per Martini, non c’è stata sostituzione dell’alleanza, l’alleanza di Dio con il popolo ebraico resta intatta. Non solo, ma «l’amore per Israele non è un’opzione per i cristiani, bensì un imperativo teologico che condiziona l’annuncio della salvezza». Ma come conciliare l’idea della salvezza attraverso l’incarnazione con quella della permanenza di Israele nell’alleanza con Dio? Le due comunità dell’alleanza, Chiesa e Sinagoga, devono senza confondersi partecipare di una missione comune al servizio di Dio e dell’uomo. «Le stesse diversità che (…) ci contraddistinguono potrebbero essere viste (…) anche nel senso di una reciproca complementarità», scrive nel 1993. Un pensiero insomma, come emerge in queste pagine di Dobner, complesso e anticipatore, pervaso di spirito profetico, che più che al percorso di un dialogo ci introduce a quello di una “coscienza ebraicocristiana”.

© Osservatore Romano - 5 dicembre 2014