"Vedrai cose maggiori di queste!"

In quel tempo, Filippo trovò Natanaèle e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret». Natanaèle gli disse: «Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi».
Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!».
Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo». (Gv. 1,45-51)
 

Fino a quando, Signore?

di MANUEL NIN

Nell’estate del 1922 il monaco benedettino di Montserrat, dom Bonaventura Ubach, soggiornò diverse settimane nel villaggio di Qaryatain, vicino a Palmira, per approfondire lo studio del siriaco e prepararsi alla sua prima liturgia celebrata nella cattedrale di Aleppo, il 21 settembre, accolto dall’arcivescovo siro cattolico Gabriele Tappouni, poi patriarca e cardinale. Da quel momento Ubach s’immerse nella vita della Chiesa siro-occidentale: «La mia piena integrazione in questa tradizione avvenne con la celebrazione della messa siriaca e cercai di accelerare il mio inserimento nel clero della cattedrale siriaca di Baghdad.
 

Il matrimonio cristiano

Pubblichiamo la parte centrale di una relazione che il metropolita ortodosso del Belgio ha tenuto nel 2005 all’università cattolica di Lovanio.

di ATHENAGORAS PECKSTADT

Il matrimonio è un mistero o sacramento istituito al momento della creazione attraverso la benedizione di Dio. Il popolo eletto lo vedeva quindi come un mistero che aveva le sue origini nella creazione divina. Ciò è confermato da Cristo, che dice: «Ma all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola» (Marc o , 10, 6-8). Secondo le Sacre Scritture il matrimonio è fondato dunque sulla distinzione, alla prima creazione dell’uomo, tra uomo e donna («Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» [Genesi, 1, 27]). Quindi sulla creazione della donna da una costola di Adamo (Genesi, 2, 21-24). E, inoltre, sulla benedizione di Dio ai primi creati con le parole: «Siate fecondi e moltiplicatevi» (Genesi, 1, 27-28).
 

Oggi il cielo dei cieli la professa sorella

La dormizione di Maria nell'iconografia siro-orientale

di MANUEL NIN

La tradizione siro-orientale, a cui appartengono la Chiesa assira e la Chiesa caldea, ha dei testi innografici notevoli per le feste della santissima Vergine Maria. Molti di questi testi, in forma innografica, sono entrati nei libri liturgici per le diverse festività, e specialmente gli inni di Giorgio Warda, autore vissuto tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo ad Arbela, nell’attuale Iraq. Il nome Warda — che significa rosa in siriaco — è un soprannome legato alla raccolta delle sue composizioni poetiche nei libri liturgici siroorientali. Si tratta di poemi teologici e omelie metriche per le feste del Signore, della Vergine Maria e dei santi.
 

San Massimiliano Maria Kolbe


Nome: San Massimiliano Maria Kolbe Titolo: Sacerdote e martire Ricorrenza : 14 agosto
Protettore di: radioamatori 
Padre Kolbe è l'eroico frate francescano conventuale che nel campo di concentramento di Auschwitz offrì la propria vita per salvare quella di un padre di famiglia, Francesco Gaiowniczek, condannato a morire di fame come rappresaglia per la fuga di un detenuto.

Giovanni Paolo II, nell'elevarlo agli onori degli altari, il 10 ottobre 1982, lo ha proclamato «patrono del nostro difficile secolo», un esempio di pace e di fraternità in una società sconvolta dall'odio e dall'egoismo.
 

Questa è la casa di Dio

di MANUEL NIN

La festa della Trasfigurazione del Signore, celebrata il 6 agosto, nella seconda metà del VII secolo venne commentata da Anastasio il Sinaita, vissuto nel Sinai come monaco. L’esegeta inizia l’omelia con un elogio del monte Tabor, dove avviene l’episodio evangelico: «Quanto è terribile questo luogo! Mi viene da gridare come Giacobbe, nel giorno della festa di questo monte. Come lui, vedo anche io una scala che sale dalla terra al cielo, poggiata sulla cima di questo monte. Anche io dico: Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo ». La grandezza del monte come luogo santo e nuovo Sinai è nella testimonianza del Padre e nella manifestazione del Figlio, sole di giustizia. In tutta l’omelia il Tabor verrà presentato come “tip o”, cioè prefigurazione della Chiesa, luogo della piena rivelazione del Verbo di Dio incarnato. La stessa liturgia del giorno ne diventa epifania. Il monte viene prefigurato nell’Antico Testamento: «Questo è il monte da cui si è staccata la pietra, cantato dagli angeli e di cui parlano i profeti, annunciato dal salmista, che istruisce gli ignoranti e illumina i peccatori, creato dalla mano destra del Signore». Vi è poi la simbologia neotestamentaria: «In questo monte sono stati prefigurati i simboli del Regno, preannunciato il mistero della crocifissione, svelata la bellezza del Regno e manifestata la seconda venuta di Cristo. In questo monte i beni futuri furono presentati già come attuali. In questo monte si preannuncia senza inganno la nostra immagine futura e la nostra configurazione con Cristo». Anastasio associa alla gioia del monte Tabor quella di tutta la creazione: le altre montagne esultano, le colline si riempiono di fiori e foreste, i ruscelli fanno risuonare la loro voce di lode nell’acqua e gli uccelli i loro cinguettii. E aggiunge una frase che offre la chiave ecclesiologica: «Questa montagna è il luogo dei misteri, il posto delle realtà ineffabili, la roccia dei segreti nascosti e la sommità dei cieli». Insomma, il Tabor come chiesa, e come altare. Anastasio spiega poi la festa: «Oggi sul Tabor è stata rinnovata e trasformata l’immagine della bellezza terrestre in bellezza celeste. Oggi il Tabor e l’Hermon esultano e invitano tutto l’universo alla gioia. Oggi Galilea e Nazareth danzano insieme e si rallegrano per la festa». E quindi sgrana tutta la redenzione operata da Cristo e quasi annunciata in anticipo nella sua Trasfigurazione: «Oggi il Signore è stato visto sul monte. Oggi la natura di Adamo, già creata a somiglianza di Dio ma oscurata dagli idoli, è stata riportata alla sua primitiva bellezza di uomo creato a immagine e somiglianza di Dio. Oggi la natura che si era allontanata per l’idolatria, risplende di nuovo nei raggi della divinità». La Trasfigurazione allontana le vecchie tuniche di pelle e riveste l’uomo di luce come di un manto. E nella festa gli araldi dell’antica e la nuova alleanza appaiono accanto al Signore. Con una bella immagine Anastasio paragona poi il Tabor con il Golgota: «Fu crocefisso tra due uomini sul Golgota, e oggi appare divinamente tra Mosè ed Elia». E prosegue accostando il Sinai al Tabor: «Sul Sinai la tormenta, sul Tabor il sole. Là il decalogo, qua il Verbo preesistente. Là la verga germina, qua la croce fiorisce. Là le quaglie come castigo, qua la colomba come salvezza. Là Maria, sorella di Mosè, suonò il tamburello, qua Maria genera divinamente. Là Elia si nascondeva, qua vede Dio». Nella parte centrale dell’omelia Anastasio mette in bocca di Mosè una lunga rievocazione dei fatti adoperati da Dio nell’antica alleanza nel Sinai e che adesso sul Tabor trovano la loro pienezza, testo che è una professione di fede nella vera incarnazione del Verbo di Dio: «E adesso ti vedo, tu che sei con il Padre e sulla montagna hai detto: Io sono colui che sono. Che io possa vederti per poterti conoscere. E adesso ti vedo non più di spalle bensì visibilmente sul Tabor. Tu che sei il Dio pieno di amore, nascosto nella mia forma umana. Tu che scendesti nel roveto ardente, che guidasti e dissetasti il popolo nel deserto, adesso sei sceso per umanizzare la natura dell’uomo che era disumana».

© Osservatore Romano - 6 agosto 2015


 

È degno

di MANUEL NIN

Il 26 ottobre 1937, con la bolla Apostolica Sedes, Papa Pio XI creava l’eparchia di Piana dei Greci per i fedeli di rito bizantino della Sicilia. Quattro vescovi si sono succeduti fino ai nostri giorni: Giuseppe Perniciaro (1967-1981, benché abbia amministrato l’eparchia già dal 1938); Ercole Lupinacci (1981-1987), Sotir Ferrara (1988-2013) e Giorgio Demetrio Gallaro, ordinato vescovo lo scorso 28 giugno. L’ordinazione è stata divisa in due momenti.
 

Infuocati nello Spirito

di MANUEL NIN

Nella tradizione liturgica sirooccidentale vi è un abbondante patrimonio di anafore eucaristiche, preghiere di invocazione dello Spirito santo, solo in parte pubblicate. Filosseno di Mabbug, vescovo siriaco del VI secolo, scrive che «i misteri appaiono agli occhi degli uomini come semplici cose, ma per l’irruzione dello Spirito santo ricevono una forza soprannaturale. L’acqua, da una parte, diventa grembo materno che genera dei figli alla vita dello Spirito. L’olio riceve la forza santificatrice che unge e consacra allo stesso tempo corpo e anima. Il pane e il vino diventano il corpo e il sangue del Figlio di Dio fatto uomo.
 

Sulle spalle del nostro pastore

di MANUEL NIN

L’ Ascensione del Signore, nel quarantesimo giorno dopo la Risurrezione del Signore è una delle grandi feste dell’anno liturgico. Nella seconda metà del IV secolo Egeria descrive una celebrazione il quarantesimo giorno dopo Pasqua, ma a Betlemme e non sul monte degli Ulivi da dove il Signore ascende in cielo, quasi a mettere in parallelo la nascita del Verbo di Dio incarnato e la sua glorificazione in cielo.
 

Il potere delle lacrime

di ROSSELLA FABIANI

Poeta, monaco, teologo, filosofo e mistico, Gregorio di Narek (951-1010/11) sarà proclamato domenica dottore della Chiesa. Considerato già santo nel martirologio romano che lo ricorda il 27 febbraio, ora questo mistico poeta armeno diventerà il trentaseiesimo dottore della Chiesa cattolica. Fu Benedetto XIV a fissare i tre requisiti necessari per la concessione di questo titolo: una dottrina eminente, un’insigne santità di vita e la dichiarazione del Sommo Pontefice o di un concilio. Con questi requisiti Papa Lambertini aveva riassunto le condizioni in base alle quali la Chiesa nel corso dei secoli aveva riconosciuto o dichiarato alcuni santi dottori della Chiesa.
 

Oggi è spremuto il grappolo venuto da Maria

La crocifissione e la Pasqua negli inni di Efrem il Siro

di MANUEL NIN

Due inni di Efrem il Siro, sulla crocifissione e il secondo sulla risurrezione di Cristo, ci aiutano a entrare nei misteri che celebriamo in questi giorni santi. Il primo contempla il cenacolo, luogo che diventa prefigurazione della Chiesa stessa nella sua celebrazione dei misteri, e il secondo presenta la Chiesa della terra e quella del cielo unite nella lode al Signore. Il cenacolo, luogo dell’ultima cena di Cristo con i discepoli, viene quasi personificato ed è visto dal poeta già come vera e propria Chiesa che celebra i sacramenti, luogo del servizio: «Beato sei tu, luogo, perché furono inviati due suoi discepoli e vennero a prepararti per la sua cena.
 

Ecco lo sposo arriva nel mezzo della notte

La liturgia della settimana santa nella tradizione bizantina scandisce tutto il mistero della passione, morte e risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, celebrazione che inizia già il sabato della risurrezione di Lazzaro e la domenica delle Palme con l’ingresso regale di Cristo a Gerusalemme.

Da lunedì a mercoledì santo si celebra l’ufficiatura mattutina e quindi nelle ore serali la liturgia dei Doni presantificati, in tre giorni che contemplano la figura di Cristo sposo della Chiesa che le viene incontro nella sua croce, il vero talamo nuziale. Nel giorno di giovedì santo si celebra la Divina liturgia di san Basilio, dove si contemplano i misteri di Cristo che lava i piedi ai discepoli, che si dà come pane di vita, che è tradito e portato alla passione.
 

Siede sull’asinello riposa sui santi

di MANUEL NIN

Il 31 marzo 513, domenica delle Palme, Severo, patriarca di Antiochia, nell’omelia spiegò la celebrazione innanzi tutto in continuità con la liturgia del giorno precedente, quando era stato letto il brano evangelico della risurrezione di Lazzaro: «Dopo essere sceso fino a Betania, il Signore risuscitò Lazzaro, che era stato messo nella tomba da quattro giorni, spezzando la forza della morte che doveva uccidere completamente quando discese lui stesso negli inferi per liberare le anime ivi rinchiuse».
 

Come un seme nel nostro giardino

di MANUEL NIN

L a festa dell’Annunciazione della Madre di Dio è una delle poche che troviamo lungo la quaresima nelle tradizioni liturgiche orientali. Al suo sviluppo contribuì anche l’omiletica siriaca. Efrem la commenta nel secondo inno sulla natività del Signore, un testo dove il poeta canta il mistero dell’incarnazione del Signore e dell’annuncio fatto da Gabriele a Maria. Già nella prima strofa la parola di Efrem è una lode, unita a quella delle schiere celesti, per il mistero che redime il genere umano: «Del tempo illustre segnato per la redenzione mi rendo anch’io partecipe nell’amore e mi allieto. Voglio lodarlo con canti puri, rendere gloria a quel bimbo che ci ha redenti».
 

Oltre il Filioque

È sulla «comune fede dell’oriente e dell’occidente nello Spirito Santo» che il predicatore della Casa pontificia, padre Raniero Cantalamessa, ha centrato la terza predica per la quaresima tenuta venerdì 20 marzo nella cappella Redemptoris mater del Palazzo Apostolico, alla presenza del Papa.

Per secoli, ha subito ricordato il cappuccino, «la dottrina della processione dello Spirito Santo in seno alla Trinità è stato il punto di maggior attrito e accuse reciproche tra oriente e occidente, a causa del famoso “Filioque”». Dopo aver ricostruito «lo stato della questione», ha riconosciuto che «oggi, nel clima di dialogo e di mutua stima che si cerca di stabilire tra ortodossia e Chiesa cattolica, questo problema non sembra più un ostacolo insormontabile alla piena comunione». E anche «da parte di qualificati rappresentanti della teologia ortodossa si è disposti a riconoscere, a certe condizioni, la legittimità della dottrina latina» ha spiegato padre Cantalamessa. E così, ha fatto notare, «come sempre il dialogo, quando è fatto davvero “nello Spirito”, non si limita ad appianare le difficoltà del passato, ma apre nuove prospettive». Tanto che «la novità più grande nella pneumatologia attuale non consiste infatti solo nel trovare finalmente un accordo sul “Filioque”, ma nel ripartire dalla Scrittura in vista di una sintesi più ampia e con uno spettro di domande più ampio e meno condizionato dalla storia passata».

Proprio «da questa rilettura, già da tempo avviata, è emerso un dato preciso: lo Spirito, nella storia della salvezza, non è solo inviato dal Figlio, ma anche inviato sul Figlio; il Figlio non è solo colui che dà lo Spirito, ma anche colui che lo riceve». E «il passaggio dall’una all’altra fase della storia della salvezza, dal Gesù che riceve lo Spirito al Gesù che lo invia, è costituito dall’evento della croce».

© Osservatore Romano - 20-21 marzo 2015



 

Sulla propria pelle

di MANUEL NIN

Le notizie che arrivano dal Medio oriente, con le violenze e il sequestro di tanti cristiani di tradizione siriaca, soprattutto assiri e caldei, e la distruzione totale delle loro chiese, delle loro case, delle loro vite, portano a pregare per questi nostri fratelli, a piangere con loro e a confessare con loro la fede. E a denunciare questi fatti inqualificabili in Medio oriente come in tante altre regioni della terra, deplorando l’i n d i f f e re n za in occidente. Leggendo queste notizie non possiamo non pensare ed evocare una delle più venerabili tradizioni cristiane di lingua siriaca, quella siroorientale, di quei cristiani che nella loro preghiera dicono abba al Padre celeste, e che nella loro speranza gridano maran atha al Signore di cui attendono il ritorno nella gloria. Nella seconda metà del IV secolo questa tradizione, tagliata fuori dai confini dell’impero, è stata suo malgrado separata dalla comunione fraterna con le altre Chiese cristiane, e dopo il concilio di Efeso nel 431 è rimasta fedele alla sua arcaica professione di fede radicata in quella sede patriarcale di Antiochia dove i cristiani ebbero il più grande degli onori, cioè essere chiamati col nome di colui che fu appeso alla cro ce. Con una spinta missionaria esemplare i cristiani siro-orientali arrivarono fino in India, Cina e Mongolia.
 

Per poter salire a vederlo in cielo

di MANUEL NIN

Il corpus innografico di sant’Efrem il Siro contiene numerose strofe con riferimenti al profeta Elia, a partire dalla sua vita e dagli eventi miracolosi che l’hanno segnata fino alla sua ascensione in cielo. Efrem presenta Elia come uomo dell’ascesi, del digiuno, della preghiera, profeta che prefigura Cristo stesso dalla sua incarnazione, e la sua ascensione in cielo. Lungo la sua vita Elia diventa il prototipo di Cristo: «Il Signore fece dell’aria come il proprio carro, e il suo corpo fu per esso come il cocchiere. Come un carro l’aria farà volare i giusti incontro al suo Signore. Discese un carro su Elia: si librava scendendo senza cocchiere.
 
San Gregorio di Narek Dottore della Chiesa Universale Sabato, 21 febbraio 2015, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in udienza privata Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Angelo Amato, S.D.B., Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.

 

La forza del nome

di MANUEL NIN
Un pomeriggio, passeggiando per Roma, cercavo delle bancarelle di fiorai. Da sempre amo i cactus, queste piante belle e sobrie, portate a una vita quasi ascetica tra la sabbia del deserto, piante austere anche nella fioritura: rari e pochissimi fiori ma di una bellezza unica. La ricerca mi portò quasi per caso da un fioraio dai tratti medio-orientali. Mi accorsi che portava tatuata sul dorso della mano una piccola croce e gli chiesi se era cristiano.
 

Simeone e il frutto dell’albero

di MANUEL NIN

Efrem il Siro canta la pericope evangelica della presentazione di Gesù nel tempio ( Luca , 2, 22ss) in alcuni inni sulla Natività di Cristo. Ci soffermiamo su due poemi di questa collezione, il XXV e il VI . Nel primo il poeta teologo canta la Chiesa come luogo dell’adunanza dei fedeli per la celebrazione del mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio. Lungo tutto l’inno Efrem mette in parallelo Maria e la Chiesa; quanto è prefigurato e profetizzato dell’una avviene anche nella vita dell’altra. Tutte le strofe iniziano con la frase: «Beata sei tu, o Chiesa...», e nelle prime due troviamo quasi una presentazione della situazione liturgica e architettonica della celebrazione: «Beata sei tu, o Chiesa, poiché risuona in te la grande festa, la solennità del Re... Beate le tue porte, aperte ma non piene; i tuoi atri, spaziosi ma non sufficienti alla folla...
 

Elogio della felicità fragile

di SILVIA GUIDI

Impossibile non trovare spunti e argomenti interessanti in una miscellanea di studi così ricca: cinquanta contributi pubblicati da Vita e Pensiero in onore di Annamaria Cascetta, già ordinario di Storia del teatro e dello spettacolo e direttore del dipartimento di Scienze della comunicazione e dello spettacolo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, a cura di Roberta Carpani, Laura Peja e Laura Aimo ( Scena madre , Milano, 2014, pagine 545, euro 60).
 

Il Paraclito

Per i cristiani il Paraclito è lo Spirito santo. Basta leggere il vangelo di Giovanni che è molto chiaro. Egli parla del “Consolatore” (paràcletos in greco) e promette di inviarlo dopo la sua ascesa al cielo: «Ma il Consolatore, lo Spirito santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26) ed inoltre: «Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore (paràcletos); ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future» (Gv 16,7-13). I cristiani hanno interpretato e creduto fin dall’inizio, senza ombra di dubbio, che queste espressioni ed altre contenute nei vangeli si riferiscono al dono dello Spirito che dà origine alla Chiesa. In ambito islamico invece la promessa di Gesù sarebbe rivolta ad annunciare la venuta di Maometto. Che esistesse questa interpretazione, evidentemente, si sapeva e non da oggi, ma era considerata una questione di disputa tra esperti. Attualmente si va diffondendo, insieme ad una più puntuale informazione sull’Islàm e alla lettura diretta del Corano, ed è sostenuta nell’insegnamento delle scuole coraniche e nella propaganda mussulmana, attivata soprattutto da ex-cristiani.

Non sembri fuori luogo, pertanto farne oggetto di riflessione. La deviazione interpretativa di questi testi è suffragata da una trasformazione del termine greco paràcletos, in periclytòs. Questo secondo vocabolo significa “esaltatissimo”, “molto lodato” e sarebbe tradotto in arabo con il vocabolo ahmad, il nome di Mu-hamad, Maometto in italiano. Ciò è affermato nel Corano nella Sura 61 al versetto 6, dove Dio rimprovera gli Israeliti perché non hanno creduto a Gesù figlio di Maria quando disse: «Io sono inviato a voi da Dio come confermatore della Torà e come annunziatore di un Inviato, di nome Ahmad, che verrà dopo di me»[1].

La trasformazione del vocabolo da paràcletos a periclytòs si trova in un tardino Vangelo apocrifo detto di Barnaba. Nelle discussioni con i cristiani i musulmani ritengono che paràcletos sarebbe una lezione manipolata, come del resto essi pensano che sia manipolata tanta parte del vangelo[2]. Questa interpretazione è divulgata nel catechismo islamico in lingua italiana[3].

Questa operazione religiosa culturale rientra nell’ottica della affermazione radicale e intransigente del monoteismo assoluto e nel presupposto che i testi cristiani, come quelli ebraici sono sottoposti all’unica e legittima e veridica interpretazione che parta dalla ultimitività della rivelazione coranica, nella quale si trova la spiegazione e il compimento delle parole che Dio ha affidato ai profeti che l’hanno preceduta. Questa interpretazione sembra trovare qualche accoglienza in ambito cristiano, tra persone molto, troppo, disponibili a ciò che appare nuovo e inedito.

La concezione che l’Islàm ha del Cristianesimo è quella di una religione provvisoria destinata a preparare la definitiva religione rivelata da Dio per mezza dell’ultimo profeta. Il processo storico di sviluppo della Rivelazione fino alla pienezza dei tempi che ha il fondamento, per i cristiani, all’interno della storia della salvezza narrata nel primo e nel secondo Testamento all’interno dell’unica rivelazione biblica che si apre con Mosè e si chiude con gli Apostoli di Gesù, è stata allargata dalla geniale fantasia mistica di Muhammad alla religione islamica con evidente decadimento delle religioni precedenti. La teologia cristiana della sostituzione operata nei confronti di Israele si riversa come sostituzione islamica nei confronti del Cristianesimo.

I cristiani europei sono chiamati oggi ad interrogarsi se sono disposti a considerarsi i precursori dei musulmani e la porta d’ingresso della loro fede.

Queste osservazioni impongono un dialogo serio e senza reticenze tra cristiani e mussulmani, e non intendono escludere che vi sia un disegno di salvezza per coloro che appartengono alla famiglia di Abramo attraverso il figlio Ismaele e certamente oggetto di un disegno di Dio, clemente e misericordioso. Chiarendo ad essi la nostra fede fondata sulla rivelazione del suo Figlio Gesù Cristo nella pienezza dei tempi, non si esclude stima, amore, dialogo e collaborazione con i veri credenti, i fedeli dell’Islàm, come ha insegnato la Chiesa nella Dichiarazione del Concilio Vaticano II Nostra aetate, sulle relazioni con le religioni non cristiane. Senza ipocrisie e infingimenti.



Perugia, 17 giugno 2004.


Apparso in Una città per il dialogo. Bollettino di informazione dell’Associazione Centro Universitario Ecumenico “S. Martino” e del Centro Internazionale di Accoglienza della Gioventù Perugia, 74 (giugno 2004), pp. 1-2.



[1] Vedi Il Corano, Utet, coll. Vlassici, a c. di M.M. Moreno 1967, p. 510, nota; cfr. anche altre edizioni del Corano, ad esempio Il Corano, a c. F. Peirone, Mondadori, Milano 1979, vol. 2°, p. 779, nota p. 782.

[2] Vedi L. Tescaroli, Cristiani e mussulmani. Dialogo o monologo?, Emi, Bologna 1981, p. 79; M. Borrmans, Orientamenti per un dialogo tra cristiani e mussulmani, Pont. Università Urbaniana, Roma 1988, p. 110; G. Dal Ferro, Nel segno di Abramo. Ebraismo e Islàm a confronto con il Cristianesimo, Ed. Messaggero, Padova 2002, p. 277.

[3] Abu Bakr Dyabar al Dyazari, La via del musulmano, a c. Unione studenti islamici, Centro culturale islamico di Milano e Lombardia e Ucoi, Milano 1990, p.38.

 

Dalla mangiatoia al Giordano

di MANUEL NIN

Una raccolta di omelie siriache anonime risalenti al VI secolo contiene tre discorsi, due più lunghi e uno più breve, sulla festa dell’Epifania. Il secondo di questi testi, partendo della vicinanza tra il Natale e l’Epifania — «Da una festa all’altra, il Signore conduce il suo gregge spirituale» — racchiude quasi una raccolta di bellissime immagini parallele delle due feste. In primo luogo l’autore propone entrambe le ricorrenze come nascite e come manifestazioni del Verbo di Dio incarnato: «Nella prima festa, la creazione ha ricevuto il Creatore dal seno della Vergine, e nella festa odierna la sposa riceve lo sposo dal seno del battesimo. Nella prima nascita, è stato generato dalla Vergine, e nella festa odierna è stato generato dal battesimo». Il battesimo di Cristo quindi viene messo in parallelo alla sua nascita da Maria.
 

E il coltivatore diventò seminato

di MANUEL NIN

La collezione dei ventotto inni di sant’Efrem il Siro sulla natività del Signore contiene dei testi di indubbia paternità efremiana, soprattutto dal quinto al ventesimo, ed altri a lui attribuiti dalla tradizione manoscritta. Uno di questi poemi teologici della tradizione siriaca del IV secolo, è il terzo inno della collezione, un testo di ventidue strofe di sei versetti ognuna. Si tratta di un inno in cui l’autore canta il mistero dell’incarnazione del Verbo e Figlio di Dio: «Benedetto il bimbo, che oggi ha fatto esultare Betlemme.
 

Brace ardente sull’altare

di MANUEL NIN

La collezione di inni di sant’Efrem il Siro sulla Natività del Signore contiene ventotto poemi. Due di essi, il X e XI , sono dei testi assai brevi con dodici strofe il primo e otto il secondo, che snodano in modo particolare e con delle immagini simboliche specialmente ricercate il tema dell’incarnazione del Verbo di Dio. Il primo dei due inni, il decimo della collezione, canta il mistero della redenzione adoperata da Cristo dalla sua incarnazione alla sua risurrezione, e lo fa a partire dal parallelo tra il grembo verginale, custodito, di Maria, e la tomba di Cristo sigillata, custodita, anch’essa.
 

L’Assunzione secondo la tradizione orientale

di SYLVIE BARNAY

È nel 1955 che fratel Antoine Wenger, degli agostiniani dell’Assunzione, pubblica la sua tesi di dottorato con il titolo L’Assunzione della Santissima Vergine nella tradizione bizantina dal VI al X secolo , presso l’Institut français d’études byzantines, di cui era diventato membro. È un’opera di ricerca e di storia dei testi che fa entrare Wenger nella comunità dei medievalisti più apprezzati. Questo primo lavoro scientifico s’iscrive nella linea della congregazione alla quale Wenger appartiene. Seguendo una delle intuizioni fondanti di padre Emmanuel d’Alzon, incoraggiato da Pio IX a lavorare sulla storia della conversione della Bulgaria e della Russia, gli Assunzionisti hanno promosso gli studi sulla conoscenza dell’Oriente antico operando risolutamente nel campo della ricerca storiografica e teologica.
 

L’uomo della comunione con Dio e i fratelli

di MANUEL NIN

Paolo VI tra il 1964 e il 1965 compì due gesti profetici nel rapporto con le Chiese ortodosse di tradizione bizantina: la restituzione (potremmo dire la translatio) delle reliquie di sant’Andrea apostolo a Patrasso e del monaco san Saba al monastero che porta il suo nome nel deserto presso Betlemme. Nel 2004 san Giovanni Paolo II restituiva alla sede patriarcale di Costantinopoli, nelle mani del patriarca ecumenico Bartolomeo, le reliquie di san Gregorio di Nazianzo e san Giovanni Crisostomo. Gli apostoli e i padri venerati nelle loro reliquie che diventano testimoni, martiri del cammino verso la piena comunione tra le Chiese cristiane di Oriente ed O ccidente. La figura del monaco san Saba, morto nel 532, è molto venerata in Oriente ed è una delle personalità più importanti nello sviluppo del monachesimo in Palestina.
 

Un santo scaltro come un manager

di LEONARDO LUGARESI

Nell’orazione 43, la più ampia tra quelle da lui composte, Gregorio Nazianzeno facendo l’elogio funebre dell’amico Basilio di Cesarea intende illustrare un esempio di umanità cristiana pienamente realizzata: Basilio è l’uomo perfetto, il frutto maturo di un’educazione cristiana completa, ed è anche il modello del vescovo perfetto. Sin dall’esordio, l’orazione si presenta come un lògos sui lògoi , un discorso sui discorsi, sull’oratoria, cioè su quella cultura letteraria che è una componente essenziale nella formazione della personalità di Basilio e dello stesso Gregorio, ma che d’a l t ro canto non viene mai considerata come una realtà a sé stante né tanto meno assolutizzata: Gregorio inserisce costantemente i lògoi in uno stretto rapporto — che li arricchisce ma al tempo stesso fa anche da limite a ogni loro pretesa egemonica — con altri valori o altre dimensioni della vita basiliana. La duplice dimensione relazionale che emerge dalla vita di Basilio — da un lato incentrata sul rapporto di amicizia tra lui e Gregorio e dall’altro su quello tra i lògoi e gli altri fattori costitutivi dell’esistenza — si fonda su una terza, fondamentale, prospettiva: quella della relazione trinitaria, in cui il Lògos vive in comunione d’a m o re con il Padre e con lo Spirito.
 

Il mite del Vangelo

Il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo ha tenuto a Istanbul, nel teatro della Casa d’Italia, una conferenza sulle relazioni ecumeniche intrattenute in Turchia, tra il 1934 e il 1945, dal delegato apostolico monsignor Angelo Giuseppe Roncalli. Ne pubblichiamo alcuni stralci dai quali emerge una figura mite e umile, capace, al di là di ogni formalità, di intessere relazioni di profondo rispetto, amore e comprensione.

Roncalli non si muove tanto come un diplomatico, ma dà al suo lavoro una impostazione nettamente pastorale nel rapporto sia con le differenti comunità cattoliche, che con gli ortodossi. È convinto che per aprire un dialogo con gli ortodossi bisogna abbandonare le condanne, il disprezzo, l’alterigia, il considerarsi superiori. Bisognava considerarsi tutti “figli di un solo Padre”.
 

I salmi di Maria

di MANUEL NIN

Giórgio Wardā è uno dei principali innografi della tradizione ecclesiale e liturgica siro orientale, vissuto tra la fine del XIIe l’inizio del XIIIsecolo ad Arbela, nell’attuale Iraq. Wardā (che significa rosa in siriaco) è un soprannome legato alla raccolta delle sue composizioni poetiche presenti nei libri liturgici siro orientali. Si tratta di poemi teologici molto spesso in forma di omelie metriche per le feste liturgiche del Signore, della Madre di Dio e dei santi.