La misericordia abbatte tutti i muri

candelaLettera pastorale del patriarca di Gerusalemme dei Latini in vista del Giubileo straordinario.

GERUSALEMME, 9. Un appello a porre fine alla violenza, in nome di quella condivisione delle sofferenze umane che è propria di ogni religione. È questo, in sintesi, il messaggio contenuto nella lettera pastorale «Cristo, volto della Misericordia del Padre» scritta dal patriarca di Gerusalemme dei Latini, Fouad Twal, in occasione del prossimo Giubileo della Misericordia, che si aprirà l’8 dicembre. Quel giorno saranno aperte quattro porte della Misericordia, nella basilica del Getsemani a Gerusalemme, nella chiesa di Santa Caterina a Betlemme, nella basilica dell’Annunciazione a Nazareth e nel santuario di Nostra Signora della Montagna, ad Anjara, in Giordania.
Il patriarca Twal, nel messaggio, parla del contesto attuale come di «un periodo difficile della nostra storia; si soffre, soprattutto in Medio oriente, dove la ferocia e la barbarie dell’uomo seminano ancora odio fratricida » e si rivolge «alla stragrande maggioranza del mondo che non è interessato al destino di tanti Popoli nei diversi continenti, tra cui questa nostra regione medio-orientale». Un vero e proprio appello a quanti «diffondono ideologie di morte» affinché tornino ad ascoltare «la loro vera coscienza, a far prevalere il valore della vita umana ponendolo al di sopra di tanti interessi materiali» e dello sfruttamento «delle risorse del pianeta» che «non ci appartengono in modo esclusivo e per sempre». A a pregare affinché «i protagonisti di queste politiche sentano la chiamata a essere più testimoni della misericordia di Dio, ad ascoltare di più Papa Francesco, gli oppressi, la comunità umana». In un mondo che è sempre più disumano e che si sta muovendo verso la barbarie, la violenza e l’o p p re s s i o - ne, «la vocazione cristiana — secondo il patriarca di Gerusalemme — è di testimoniare la misericordia divina, in collaborazione con gli uomini e le donne di buona volontà. Il seme della misericordia è presente in tutte le religioni, e siamo tutti responsabili del suo germogliare nella vita pubblica e individuale. Saremo così testimoni di un mondo migliore, governato dalla giustizia, dalla pace, dalla tenerezza di Dio, dall’amore e dal reciproco rispetto. Invitiamo tutti i nostri fedeli, che hanno qualche peso nella famiglia politica, economica, culturale e sociale a vivere la misericordia e rifondare una cultura che permei di misericordia questo mondo che ci appartiene». Perché la vera misericordia — sottolinea monsignor Twal — «trascende tutti i confini e distrugge tutti i muri». E come la misericordia di Dio «non conosce confini, così dovrebbe essere per la misericordia dell’uomo verso il prossimo, soprattutto verso i più deboli, gli oppressi, gli emarginati, i migranti, i profughi e coloro che vivono alle periferie della società». Nella lettera, il patriarca ricorda che «in questo Anno Santo, potremo fare l’esperienza di aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che spesso il mondo moderno crea in maniera drammatica. Quante situazioni di precarietà e sofferenza — ha proseguito — sono presenti nel mondo di oggi! Quante ferite sono impresse nella carne di tanti che non hanno più voce perché il loro grido si è affievolito e spento a causa dell’indifferenza dei popoli ricchi. In questo Giubileo ancora di più la Chiesa sarà chiamata a curare queste ferite, a lenirle con l’olio della consolazione, fasciarle con la misericordia e curarle con la solidarietà e l’attenzione dovuta ». Inoltre, Twal avverte di non cadere «nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge. Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità. Che il loro grido diventi il nostro e insieme possiamo spezzare la barriera di indifferenza che spesso regna sovrana per nascondere l’ipocrisia e l’egoismo». Il patriarca esprime la propria volontà di inviare sul territorio i missionari della Misericordia durante il periodo quaresimale. «Saranno un segno della sollecitudine materna della Chiesa per il popolo di Dio, perché entri in profondità nella ricchezza di questo mistero così fondamentale per la fede. Saranno sacerdoti a cui darò l’autorità di perdonare anche i peccati che sono “riservati alla sede Apostolica”, perché sia resa evidente l’ampiezza del loro mandato. Saranno, soprattutto, segno vivo di come il Padre accoglie quanti sono in ricerca del suo perdono. Saranno dei missionari della misericordia perché si faranno artefici presso tutti di un incontro carico di umanità, sorgente di liberazione, ricco di responsabilità, per superare gli ostacoli e riprendere la vita nuova del Battesimo». Al riguardo il patriarca esorta i vescovi a «invitare e accogliere questi missionari, perché siano anzitutto predicatori convincenti della misericordia. Si organizzino nelle diocesi delle “missioni al popolo”, in modo che questi missionari siano annunciatori della gioia del perdono. Si chieda loro di celebrare il sacramento della riconciliazione per il popolo, perché il tempo di grazia donato nell’anno giubilare permetta a tanti figli lontani di ritrovare il cammino verso la casa paterna». La misericordia, scrive Twal, «non è un sentimento fugace, epidermico, emozionale, che si ferma a questi livelli; è invece un impegno concreto, tangibile, creativo e coinvolgente tutta la persona umana». Per il patriarca latino la misericordia «deve abbracciare la vita pubblica in tutti i suoi settori: dalla politica all’economia, dalla cultura alla società, e questo a livello nazionale, internazionale, regionale e locale, senza trascurare nessuna direzione: Stati, popoli, etnie, religioni e confessioni religiose ». Quando diventa «parte dell’azione pubblica, contribuisce alla costruzione di un mondo migliore. In un mondo che è sempre più disumano e che si sta muovendo verso la barbarie, la violenza e l’oppressione, la vocazione cristiana è di testimoniare la misericordia divina, in collaborazione con gli uomini e le donne di buona volontà».

© Osservatore Romano - 10 ottobre 2015