Il suo nome è meraviglia

nativitadi MANUEL NIN

Le diverse tradizioni liturgiche cristiane, di oriente e di occidente, nella domenica o nei giorni che precedono immediatamente la celebrazione della nascita del Figlio di Dio, leggono come pericope evangelica la genealogia di Cristo secondo il vangelo di Matteo. Efrem il Siro, nel primo dei suoi 28 inni sul Natale, fa una vera e propria lectio divina di queste pagine evangeliche. Si tratta di un inno assai lungo, novantanove strofe, nelle quali Efrem mette in scena personaggi e fatti veterotestamentari per arrivare all’ultima delle strofe in cui canta l’incarnazione del Verbo di Dio. Il carattere cristologico di tutto l’inno viene scandito anche dal versetto ritornello cantato tra una e l’altra delle strofe: «Gloria a te, Figlio del nostro Creatore».
Un primo gruppo di strofe, da 1 a 11, propone la figura dei diversi profeti che hanno annunciato l’incarnazione e la nascita del Figlio di Dio: Isaia, Michea, Giacobbe, Davide, diventano per Efrem l’inizio della lunga serie di personaggi e di fatti veterotestamentari che portano a Cristo. In qualche modo Efrem mette per primi della lunga schiera che guarda a Cristo coloro che già nell’Antico testamento furono ispirati dallo Spirito per annunciarlo nella profezia: «Questo giorno ha fatto gioire, Signore, i re, i sacerdoti e i profeti, perché in esso si compirono le loro parole. La Vergine, infatti, ha oggi partorito l’Emmanuele a Betlemme. La parola proferita da Isaia oggi è divenuta realtà. Oggi è nato un bimbo, il suo nome è meraviglia. È proprio una meraviglia di Dio che si sia manifestato come un infante». Quindi, lungo quasi una cinquantina di strofe, dalla 12 alla 60, Efrem snoda il canto attraverso una serie di figure e di fatti presi dall’antica alleanza che sono la prefigurazione, il tipo di Cristo; ed il poeta lo fa mettendo in parallelo il fatto avvenuto nel libro biblico con l’«oggi» che fa presente la salvezza che si adempie in Cristo stesso: «Adamo aveva posto la corruzione sulla donna uscita da lui. Oggi ella ha sciolto la sua corruzione partorendogli il Salvatore. Una terra vergine aveva partorito Adamo, capo della terra. Oggi una vergine ha partorito l’Adamo capo del cielo». Efrem quasi senza soluzione di continuità collega i personaggi biblici, specialmente presi dalla Genesi, con l’opera salvifica di Cristo, di cui essi sono la vera prefigurazione: «Set, preso il posto di Abele, guardava verso il Figlio ucciso, che mediante la propria uccisione spuntò la spada introdotta nella creazione. I due fratelli che coprirono Noè guardavano verso l’unigenito di Dio, che sarebbe venuto a coprire la nudità di Adamo». E nel suo percorso attraverso le figure bibliche, nel suo mettere in parallelo antica e nuova alleanza, Efrem riporta Mosè ed Elia alla scena della Trasfigurazione di Cristo: «Mosè ed Elia videro il Figlio. Il mite ascese dalle profondità, e lo zelota scese dall’alto: videro il Figlio nel mezzo. Essi furono simbolo della sua venuta. Mosè fu tipo dei morti ed Elia tipo dei vivi, che voleranno incontro a lui nella sua venuta». L’inno di Efrem, quasi in un avanti indietro, dopo Elia ritorna ad Adamo ed Eva e ai primi capitoli della Genesi, per riproporne una lettura chiaramente cristologica ed ecclesiologica: Adamo cacciato e riportato nel paradiso; l’arca di Noè, tipo della Chiesa: «Adamo attese lui, poiché è lui il Signore del cherubino, e solo lui avrebbe potuto farlo entrare e abitare sotto i rami dell’albero della vita. Anche l’arca degli animali, il suo tipo guardava verso il nostro Signore, che avrebbe costruito la santa Chiesa nella quale trovano rifugio le anime». Efrem sottolinea come è lo Spirito Santo a illuminare la lunga schiera di figure bibliche affinché loro guardino verso il Cristo che viene: «È lo Spirito Santo che in loro, quietamente contemplando per loro, li spingeva a vedere, grazie a lui, il Salvatore che essi bramavano ». Dalle strofe 61 alla 81, Efrem introduce nell’inno il tema della veglia che dovrebbe segnare la vita dei cristiani in attesa del Salvatore, che è il vero vigilante, che non dorme mai. Efrem svilupperà delle immagini veramente belle in cui mette in parallelo il fatto dell’attesa, della veglia, con coloro e Colui che sono i veri vigilanti: Cristo è il vero vegliante sui cristiani, sulla Chiesa; gli angeli, i pastori, i monaci, tutti i cristiani sono coloro che nella veglia attendono il “v e ro vegliante”: «I vigilanti oggi sono nella gioia, poiché è venuto il Vigilante a svegliarci. Chi dormirà in questa notte nella quale veglia l’intera creazione? Adamo introdusse nella creazione il sonno della morte mediante il peccato, è sceso oggi il Vigilante a svegliarci dal torpore del peccato». Efrem nell’ultima serie di strofe presenta tutta una sequela di virtù proprie del cristiano, in una lunga lista introdotta di nuovo dalla parola “oggi”: «Oggi Maria nasconde in noi il lievito di Abramo. Amiamo anche noi i poveri come lui li amò. Oggi cade in noi il fermento di Davide, il clemente. Ciascuno sia misericordioso come lui lo fu verso Saul». E quindi lungo le dieci ultime strofe dell’inno, Efrem in questo «oggi» della nascita del Figlio di Dio incarnato dipinge la vita nuova che ne sgorga: «Oggi non ci sia né buio, né ira, né orgoglio, ma rendiamo partecipi i poveri dei propri beni. Oggi è impressa la divinità nell’umanità, affinché anche l’umanità fosse intagliata nel sigillo della divinità».

© Osservatore Romano - 24 dicembre 2015