Santi, beati e testimoni
Nella memoria liturgica di sant’Angela Merici - L’albero dai buoni frutti
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- Creato: 27 Gennaio 2021
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La maestosa basilica di San Pietro. Una volta entrati — sempre un po’ timidi, il luogo lo impone — veniamo abbagliati da tale bellezza. Ed è così che — quasi naturalmente — il nostro animo è portato a innalzarsi fin sulle vette della cupola michelangiolesca. Voliamo insieme a quella colomba dello Spirito Santo posta dietro la chatedra dell’altare maggiore. Sorvoliamo, volteggiamo — nella nostra immaginazione — tra colonne, fregi e pale d’altare.
Ma capita — troppo spesso — di dimenticare, in questo nostro “viaggio”, di fare sosta davanti a statue che — in un primo momento — potrebbero rimanere nella loro “solitudine”, senza destare una particolare attenzione. Eppure, dietro quelle statue, vivono storie incredibili. Storie di santità.
« s. angela merici virgo / parens et magistra / societatis virginum a s. ursula »: l’iscrizione è in oro e svetta sul marmo tracciato dallo scultore Pietro Galli. La statua è stata realizzata nel 1866. Ritrae sant’Angela Merici, la fondatrice della Compagnia delle dimesse di Sant’Orsola (“dimesse” perché prive del tradizionale abito monacale). Era il 25 novembre 1535. Non più nei chiostri, ma nel mondo: questo l’asse cartesiano della spiritualità di sant’Angela Merici che, con la testimonianza della sua vita, riuscì a dare nuova forma, nuova linfa alla dignità della donna nella Chiesa.
Era nata a Desenzano sul Garda, in provincia di Brescia, il 21 marzo 1474. Angela, fin da bambina, respira incenso e preghiere grazie alle letture delle biografie dei santi di suo padre Giovanni. Ogni sera, Angela era catapultata in quelle biografie. I santi, i suoi amici di giochi. È proprio grazie a queste letture che la piccola Angela inizia a nutrire una devozione particolare nei confronti di sant’Orsola, nobile giovane di Britannia, martirizzata nel iv secolo insieme alle sue compagne. Sant’Orsola avrà un grande ruolo nella maturazione della sua spiritualità.
A soli quindici anni, Angela perde prematuramente la sorella e i genitori. Si trasferisce a Salò, dove verrà accolta in casa dallo zio materno. Sono gli anni della sua maturazione spirituale che la condurrà a diventare terziaria francescana. Cinque anni dopo, morto lo zio, la giovane Angela ritorna nel suo paese natale. La sua vocazione comincia a delinearsi sempre più: opere di misericordia spirituali e corporali, accompagnate — sempre — dal lavoro manuale. Preghiera e raccoglimento, il naturale sottofondo della sua vita. Proprio mentre è in preghiera, ecco apparire ai suoi occhi una visione: una processione di angeli e vergini che suonano e intonano canti. Tra loro, Angela vede anche la sorella defunta che le preannuncia: «Fonderai una compagnia di vergini». Quella compagnia dilagherà con il suo santo fuoco in tutto il mondo. Sarà una vera e propria “rivoluzione di grazia”: nella “Compagnia”, infatti, ogni donna consacrata potrà santificare la propria esistenza non al chiuso di un convento, di un chiostro, ma operando nel mondo. Sant’Angela Merici offre alle religiose una condizione sociale nuova: quella di “vergini consacrate nel mondo”, in grado di santificare sé stesse per santificare la famiglia e la società. È la Chiesa in uscita, nel mondo, con il mondo, per il mondo.
Angela Merici non scrisse nessun documento. Sembra non sapesse scrivere. Dettò le sue opere a Gabriele Cozzano, suo fedele segretario e cancelliere della Compagnia delle Orsoline. «Sforzatevi con l’aiuto di Dio di acquisire e di conservare in voi un tal concetto e buon sentimento, da essere mosse a tal cura e governo solamente dal solo amor di Dio e dal solo zelo per la salvezza delle anime. Infatti, tutte le vostre opere e le vostre azioni di governo, se saranno così radicate in questa duplice carità, non potranno che produrre buoni e salutari frutti».
«Bona arbor non potest malos fructus facere»: “il buon albero, non può produrre cattivi frutti”. Il testamento di sant’Angela parla chiaro. Non usa mezzi termini e si concentra soprattutto su un dato: sono «l’amor di Dio» e «lo zelo per la salvezza delle anime» le forze che devono spingere ognuno a produrre «buoni e salutari frutti». E di frutti, ancora oggi, a distanza di secoli, Angela ne produce ancora. E tutti buoni.
di Antonio Tarallo
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